HIV, serve una nuova strategia per gli studi di fase III
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HIV, serve una nuova strategia per gli studi di fase III
Gli studi di fase III sull’Hiv multi-resistente devono evolversi passando dal concetto tradizionale di superiorità o non-inferiorità dei nuovi agenti testati rispetto a quelli di confronto a un nuovo approccio nel quale si dimostrano miglioramenti clinici attraverso trial brevi e suddivisi in diverse fasi.
A lanciare la proposta è un gruppo di stakeholder statunitensi, il Washington-based Forum for Collaborative HIV Research, che conta tra i suoi membri rappresentanti del governo, dell’industria, delle associazioni di pazienti, ricercatori, operatori sanitari e fondazioni private. I passi da compiere per percorrere questa nuova strada sono delineati in un articolo pubblicato qualche giorno fa sulla rivista AIDS.
Il lavoro punta il dito sugli studi sull’HIV nei pazienti multi-resistenti, denunciando il fatto che i tassi di arruolamento sono calati precipitosamente, in gran parte per via dell’uso crescente degli inibitori della proteasi potenziati e del miglioramento complessivo della potenza e l'efficacia delle terapie antiretrovirali.
Dal 2006 ad oggi, il tasso di arruolamento nei trial sui pazienti già trattati e con una farmaco-resistenza multipla è sceso da 1,15 a 0,02 partecipanti al mese, nonostante il coinvolgimento di un numero sempre maggiore di centri e di Paesi.
Per questi pazienti, trial brevi di superiorità cumulativa permetterebbero agli sponsor di dimostrare l'efficacia degli agenti testati senza il rischio che i pazienti sviluppino resistenza a questi nuovi farmaci o un’ulteriore resistenza a quelli vecchi.
Il modello proposto è quello di uno studio con un disegno a più fasi che dovrebbe comprendere: un trial di breve durata (di 10-14 giorni) in cui si confronta l’agente sperimentale e placebo, utilizzando il regime con cui è attualmente trattato il paziente come terapia di base, per valutare l’efficacia a breve termine nella riduzione della carica virale; uno studio successivo in cui tutti i partecipanti ricevono il farmaco sperimentale (in dose singola o a dosaggi diversi) e sono valutati dopo 24 settimane per valutare la risposta alla dose, la sicurezza, la durata della risposta iniziale e lo sviluppo di resistenza; un eventuale secondo studio di confronto sulla sicurezza nei pazienti con un minimo di due farmaci attivi disponibili, in cui i partecipanti vengono randomizzati al farmaco sperimentale più un nuovo regime di background ottimizzato di antiretrovirali confrontato con il solo nuovo regime di background ottimizzato più placebo.
Questa strategia non è così applicabile negli studi sui pazienti naïve, nei quali i risultati dei trial sia di superiorità sia di non-inferiorità sono difficili da interpretare. Per quanto riguarda quelli di superiorità, la sfida nei pazienti naïve è che con le attuali terapie antiretrovirali di prima linea, in questa popolazione, si riesce a ottenere percentuali di soppressione virale superiori al 90%; con quelli di non-inferiorità, invece, il problema è più chiarire le reali differenze tra i diversi regimi.
Per queste ragioni, si legge nell’articolo, non vi è consenso sull'utilità di studiare farmaci sperimentali in questa popolazione di pazienti, anche se ricercatori, autorità regolatorie e sponsor riconoscono che tali agenti potrebbero offrire ai pazienti naïve una migliore tollerabilità e meno rischi a lungo termine rispetto a quelli attualmente in uso.
Attualmente, i singoli farmaci antiretrovirali disponibili sono 26 (oltre alle formulazioni alternative e alle combinazioni in dose fissa) appartenenti a sei diverse classi terapeutiche. Con questi agenti, si raggiungono oggi percentuali di soppressione virale tra il 70 e il 90%. Tuttavia, gli autori dell’articolo evidenziano anche problemi crescenti con i ceppi virali farmaco-resistenti e la necessità continua di poter disporre di nuove opzioni terapeutiche, che potrebbero offrire importanti benefici, tra cui un minor numero di effetti collaterali, una somministrazione meno frequente e un minor rischio di resistenza.
"Ecco perché è così cruciale superare le barriere all'innovazione nello sviluppo dei farmaci anti-HIV " ha commentato la direttrice del Forum Veronica Miller, aggiungendo che l’articolo, di cui è coautrice, propone un nuovo percorso per l'approvazione da parte delle autorità regolatore di nuovi agenti promettenti contro il virus e riflette il pensiero dei massimi esperti del settore.
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A lanciare la proposta è un gruppo di stakeholder statunitensi, il Washington-based Forum for Collaborative HIV Research, che conta tra i suoi membri rappresentanti del governo, dell’industria, delle associazioni di pazienti, ricercatori, operatori sanitari e fondazioni private. I passi da compiere per percorrere questa nuova strada sono delineati in un articolo pubblicato qualche giorno fa sulla rivista AIDS.
Il lavoro punta il dito sugli studi sull’HIV nei pazienti multi-resistenti, denunciando il fatto che i tassi di arruolamento sono calati precipitosamente, in gran parte per via dell’uso crescente degli inibitori della proteasi potenziati e del miglioramento complessivo della potenza e l'efficacia delle terapie antiretrovirali.
Dal 2006 ad oggi, il tasso di arruolamento nei trial sui pazienti già trattati e con una farmaco-resistenza multipla è sceso da 1,15 a 0,02 partecipanti al mese, nonostante il coinvolgimento di un numero sempre maggiore di centri e di Paesi.
Per questi pazienti, trial brevi di superiorità cumulativa permetterebbero agli sponsor di dimostrare l'efficacia degli agenti testati senza il rischio che i pazienti sviluppino resistenza a questi nuovi farmaci o un’ulteriore resistenza a quelli vecchi.
Il modello proposto è quello di uno studio con un disegno a più fasi che dovrebbe comprendere: un trial di breve durata (di 10-14 giorni) in cui si confronta l’agente sperimentale e placebo, utilizzando il regime con cui è attualmente trattato il paziente come terapia di base, per valutare l’efficacia a breve termine nella riduzione della carica virale; uno studio successivo in cui tutti i partecipanti ricevono il farmaco sperimentale (in dose singola o a dosaggi diversi) e sono valutati dopo 24 settimane per valutare la risposta alla dose, la sicurezza, la durata della risposta iniziale e lo sviluppo di resistenza; un eventuale secondo studio di confronto sulla sicurezza nei pazienti con un minimo di due farmaci attivi disponibili, in cui i partecipanti vengono randomizzati al farmaco sperimentale più un nuovo regime di background ottimizzato di antiretrovirali confrontato con il solo nuovo regime di background ottimizzato più placebo.
Questa strategia non è così applicabile negli studi sui pazienti naïve, nei quali i risultati dei trial sia di superiorità sia di non-inferiorità sono difficili da interpretare. Per quanto riguarda quelli di superiorità, la sfida nei pazienti naïve è che con le attuali terapie antiretrovirali di prima linea, in questa popolazione, si riesce a ottenere percentuali di soppressione virale superiori al 90%; con quelli di non-inferiorità, invece, il problema è più chiarire le reali differenze tra i diversi regimi.
Per queste ragioni, si legge nell’articolo, non vi è consenso sull'utilità di studiare farmaci sperimentali in questa popolazione di pazienti, anche se ricercatori, autorità regolatorie e sponsor riconoscono che tali agenti potrebbero offrire ai pazienti naïve una migliore tollerabilità e meno rischi a lungo termine rispetto a quelli attualmente in uso.
Attualmente, i singoli farmaci antiretrovirali disponibili sono 26 (oltre alle formulazioni alternative e alle combinazioni in dose fissa) appartenenti a sei diverse classi terapeutiche. Con questi agenti, si raggiungono oggi percentuali di soppressione virale tra il 70 e il 90%. Tuttavia, gli autori dell’articolo evidenziano anche problemi crescenti con i ceppi virali farmaco-resistenti e la necessità continua di poter disporre di nuove opzioni terapeutiche, che potrebbero offrire importanti benefici, tra cui un minor numero di effetti collaterali, una somministrazione meno frequente e un minor rischio di resistenza.
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