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Storia di Paul, fuggito da Roma "A Barcellona mi sento libero"

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Messaggio Da Gex Ven 20 Mag - 14:27

Per sollecitare l'approvazione di una legge bipartisan contro l'omofobia, alla luce di episodi quotidiani di discriminazione e violenza, Repubblica.it ha lanciato una campagna di adesioni su Facebook 1. Ogni giorno, sul nostro sito, le storie di chi ha combattuto. E spesso ha vinto.

Emigrato per omofobia. Scappato da una città, Roma, che non lo ha accettato, e dove ha dovuto subire intimidazioni e umiliazioni, negli uffici ma anche da parte delle forze dell'ordine. E' una scelta estrema, quella fatta da Paul Ciaccio, che a Barcellona si è costruito una vita nuova e si è abituato in fretta, e con piacere, all'indifferenza della gente nei confronti dei baci scambiati con gli altri ragazzi. I cori da stadio intonati contro di lui, alla presenza dei genitori, su un trenino delle ferrovie laziali, sono solo un brutto ricordo. La goccia che ha fatto traboccare il vaso della sopportazione, l'ultimo affronto che lo ha spinto a fuggire in Spagna.
Paul ha 33 anni, lavora per il servizio commerciale di una compagnia aerea. Nato a Roma, da madre irlandese, non ha mai avuto dubbi sulla sua sessualità, e l'autoaccettazione è arriva in fretta. Col fratello ha fatto coming out a 14 anni, con i genitori l'anno dopo. Già al primo anno di liceo (ha studiato al classico Russell, "un posto aperto e molto tollerante") ha iniziato a fare volontariato in due associazioni storiche del
movimento Glbt. Ad appena 15 anni ha capito di volersi
impegnare per i diritti delle persone omosessuali, aiutando i coetanei a vivere con normalità la loro condizione. "L'aver accettato così presto il mio orientamento, mi ha salvato - dice, al telefono dalla Spagna - Mi ha aiutato a farmi forza nei momenti difficili". Momenti che non sono tardati ad arrivare, man mano che Paul si scontrava con la chiusura mentale e l'arretratezza di pensiero di alcuni concittadini. Anche di chi lo avrebbe dovuto tutelare, come la polizia.

Il suo primo incontro con la realtà delle forze dell'ordine non è dei migliori. Paul si trovava a Monte Caprino, una zona dove gli omosessuali si incontravano, per conoscersi o anche solo per fare gruppo (e, nelle ore notturne, per andare oltre la semplice conoscenza verbale). "Un giorno me ne stavo tranquillamente chiacchierando con gli amici, quando sono arrivati due uomini. Erano su un'auto civetta, e non si sono neanche qualificati come poliziotti. Uno di loro mi blocca, mentre l'altro estrae la pistola. Mi prendono il portafogli dalla tasca, e guardano i miei documenti. Mi insultano, e alla fine mi liquidano con un calcio, facendomi cadere per terra". Paul riesce a leggere la targa dell'auto. Sale sul primo bus, e arriva in Questura. Ha 17 anni, ma sa già che quel comportamento non è legale. Vuole sporgere denuncia. In Questura, viene indirizzato al commissariato di piazza del Collegio Romano, è una volante a portarcelo. "Mi hanno trattato molto bene. Si sono fatti raccontare tutto, e mi hanno rimandato a casa - ricorda - Peccato che, essendo minorenne, abbiano deciso di convocare i miei genitori al commissariato, il giorno dopo. La situazione è stata molto imbarazzante. Gli raccontano tutto, e li pregano di non sporgere denuncia. Mi dicono: 'Prenderemo provvedimenti noi'. I miei decidono di lasciar correre".

E' il primo di una lunga serie di scontri con l'omofobia cittadina. Anni Novanta, le associazioni omosessuali non sono ancora ben radicate sul territorio, molti gay preferiscono vivere la loro condizione in segreto, tra un locale notturno e l'altro. Paul ne è consapevole, e per questo ha iniziato a frequentare Arcigay e il Mario Mieli. Ricorda: "Le situazioni umilianti erano all'ordine del giorno. Anche andare alla posta per spedire un pacco poteva diventare un'occasione di lite". Come quando si è presentato nell'ufficio postale di Torre Maura, con una missiva indirizzata al circolo di cultura omosessuale Mario Mieli. La signora allo sportello si rifiutò di accettarla: "Disse che temeva ci fosse materiale pornografico, e che lei non si voleva prendere quella responsabilità. Mi insultò". Paul ripiegò su un altro ufficio postale, dove l'impiegato gli fece la cortesia di accettare la lettera. O quando il dermatologo, di fronte alla sua dermatite seborroica, gli suggerì un esame del sangue: "Siccome è froc... si faccia il test dell'hiv". Anche all'università di Roma Tre, dove ha frequentato solo un anno, ha avuto problemi, ma più che con gli studenti, con il personale amministrativo. "Un giorno ero in fila in segreteria, con una mia amica. Le stavo parlando del mio fidanzato. Arrivati allo sportello, l'impiegata è sbottata: 'Non voglio parlare con uno sporcaccione come te'". Solo la minaccia da parte di Paul di chiamare la polizia la convinse a rilasciargli il certificato di cui aveva bisogno. "Ma lo stava facendo come se fosse un favore".

Dovendo individuare il momento preciso in cui ha deciso di lasciare Roma e l'Italia, Paul non ha dubbi: gli insulti sul trenino che lo portava da Torre Maura alla stazione Termini. Oggi ci scherza su, e parla di un "pomeriggio pasoliniano". "Ero seduto con i miei genitori. Avevo 18 anni. Faceva caldo, il trenino era pieno. Erano quasi tutti ragazzi che andavano al mare. Uno di loro stava fumando, e io gli chiesi di smettere, sapendo che dava fastidio ai miei. Non lo avessi mai fatto. Iniziò ad urlami contro 'froc...', più volte. Poi lo seguirono gli amici. Alla fine altre persone, sul trenino, si aggiunsero a quel coro, incluso l'autista, tanto che con i miei decidemmo di scendere. Ma non paghi di aver inferto quell'umiliazione, abbassarono i finestrini e continuarono ad urlare le stesse schifezze". Paul iniziò a vomitare. Qualche giorno dopo la madre gli parlò. "Questo Paese non fa per te", gli disse, pur sapendo la sofferenza che avrebbe provato ad avere un figlio lontano. Paul chiede di partecipare al programma Erasmus. Ma è un pretesto. Arriva a Barcellona il 27 settembre del 1997. Poco dopo abbandona l'università, e inizia a lavorare. Anni dopo finisce al centro di uno dei primi casi eclatanti di omofobia sul luogo di lavoro: l'Alitalia, per la quale aveva iniziato a lavorare nella città della Catalogna, lo licenzia. "Mi mobbizzavano perché ero gay". Il suo caso finisce anche alla Camera dei deputati, con una interrogazione parlamentare (firmata, tra gli altri, da Nichi Vendola). Un giudice gli dà ragione, e ordina all'Alitalia di reintegrarlo.

"Qua mi sento davvero libero, anche se l'Italia mi manca. Mi mancano l'arte, il cibo e, ovviamente, i miei genitori", ammette. Ogni ritorno nella Città Eterna è difficile. "Roma non è cambiata, anzi a volte ho come l'impressione che sia peggiorata. L'Italia di Berlusconi non mi piace, è intollerante, così lontana dalla Spagna. Tornarci mi fa male, perché in fondo so di essere legato a questo Paese". Qualche mese fa, rientrato per le vacanze di Natale, è stato costretto ad abbandonare un pub, nella zona di San Lorenzo. "Stavo parlando con una mia amica - dice - quando siamo stati insultati da un gruppo di giovanissimi. Hanno usato lo stesso insulto che sembra perseguitarmi solo quando vengo in Italia. Mi hanno chiamato 'malato di Aids'. Mi ha stupito la loro età, sui 20 anni". Pensi di tornare in Italia, prima o poi? "A Barcellona sto bene, mi sento tutelato dallo Stato, e non penso che ce la farei a sopportare quello che ho dovuto subire da adolescente".

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Gex
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Messaggio Da frankye Sab 21 Mag - 9:34

Capisco che e' andato via, se potessi me ne andrei anch'io, qui in Italia si vive vermente male, e non solo per i gay!
frankye
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