Malattie degenerative: commissione Senato
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Malattie degenerative: commissione Senato presenta l’indagine conoscitiva
Più screening e un team di operatori specializzati per combattere il tumore al seno (cresciuto del 28% tra le giovani donne negli ultimi 6 anni), inserire le malattie reumatiche nel Piano sanitario e tra le priorità della salute pubblica (in Italia ne soffrono oltre 5 milioni di persone, circa 734mila presentano con forme più disabilitanti e serie), diffondere il test diagnostico per Hiv e ridurre la quota sommersa di sieropositivi (oggi 1 malato su 4 non sa di esserlo). Sono queste le principali linee di azione del documento conclusivo sulle malattie degenerative approvato ieri all’unanimità in commissione Sanità al Senato.
09 MAR - Ecco una sintesi dei principali dati e proposte contenute nel documento conclusivo sulle malattie degenerative (in particolare sul tumore della mammella, sulle malattie reumatiche croniche e sulla sindrome Hiv) approvato ieri all’unanimità in commissione Sanità al Senato.
Tumore al seno
È il cancro al seno la patologia tumorale più frequente nelle donne, prima causa di morte in Italia nella fascia tra i 35 ed i 50 anni, con circa 40mila nuove diagnosi ogni anno. In pratica, 1 donna su 8, nell’arco della vita, viene colpita dal tumore al seno. Nel 30,4% dei casi si tratta di donne con età inferiore a 44 anni, nel 35,7% di donne comprese tra 44 e 65 anni ed il resto sono over 65.
L’indagine sottolinea soprattutto come negli ultimi sei anni si sia registrato un forte aumento dell’incidenza del tumore al seno, pari al 13,8%. Particolarmente allarmante il tasso per le donne under comprese tra i 25 e 44 anni, tra le quali si registra un incremento del 28,6%. Peraltro, la probabilità di morire per un carcinoma mammario in donne con meno di 40 anni è di circa il 52% maggiore rispetto alle donne con più di 40 anni; sia perché nelle donne più giovani le forme tumorali sono più aggressive, sia per la mancanza di screening per una diagnosi tempestiva. Se diagnosticato in uno stadio iniziale e trattato correttamente, infatti, il cancro al seno può essere vinto sino al 98% dei casi.
Molto si sta facendo in questo ambito. Nel 2008 i programmi di screening censiti dalla survey dell’Osservatore nazionale screening (Ons), sono stati 135, cinque in più rispetto all’anno precedente (in particolare, 65 al Nord, 39 al Centro e 31 al Sud). Su base nazionale la popolazione bersaglio è di circa 7.420.000 donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni, di cui l’87% risiede in un’area in cui esiste un programma di screening, ma solamente in 15 Regioni si raggiunge un’estensione territoriale completa su tutta la popolazione bersaglio. A livello di aree geografiche, l’estensione teorica è ormai completa al Nord, stabile al Centro (87,2%) e in aumento dei al Sud, dove si è passati dal 52,4% del 2007 al 69,3% nel 2008. Tuttavia la proporzione di donne che partecipano realmente allo screening rivela differenze ancora più marcate: al Nord si riscontrano valori intorno al 61%, al Centro del 57% e al Sud solo del 34%.
Quote che vanno senz’altro incrementate. La commissione sottolinea inoltre che il gold standard per lo studio epidemiologico dei tumori sarebbe quello di disporre su tutto il territorio nazionale di appositi registri tumori (attualmente la rete dell'Associazione italiana dei registri tumori - Airtum - copre circa il 30% della popolazione italiana ed è diffusa soprattutto nell’Italia del Centro e del Nord), oltre alla possibilità di incrociare il flusso di informazioni a disposizione del Servizio sanitario nazionale attraverso le schede di dimissione ospedaliera (Sdo).
Sulla base dei dati e delle informazioni raccolte nel corso dell’indagine, la Commissione ha inoltre rilevato come la complessità della malattia e delle sue cure spinga a proporre uno sviluppo di "centri dedicati", quale il Centro di senologia e di operatore dedicato, “intendendosi con il primo termine un luogo di cura che tratti almeno 150 casi all’anno di carcinoma della mammella, e con il secondo termine gli operatori sanitari che dedichino una parte prevalente del loro lavoro al tumore al seno (a titolo di esempio radiologi che vedono almeno 1.000 mammografie l’anno, chirurghi che eseguono almeno 50 interventi al seno per anno)”. Inoltre, essendo il tumore al seno una patologia che necessita un approccio interdisciplinare, la commissione sottolinea come il Centro di Senologia debba “poter disporre, per definizione, di un team completo di altri operatori dedicati”. Alcuni considerati “obbligatori”, come l’oncologo medico, il radioterapista, il chirurgo plastico, l’anatomo-patologo e l’infermiera; altri definiti “portatori di valore aggiunto”, quali lo psicologo, il genetista, il riabilitatore e l’esperto di medicina complementare.
La commissione sottolinea infine come “appaia del tutto paradossale che per la cura del tumore alla mammella a fronte di prestazioni assolutamente elementari come la mastectomia si dia luogo alla corresponsione dell’intero Drg, mentre strutture specializzate che offrono alle pazienti trattamenti più complessi e quindi più costosi non ne vedono riconosciuto il valore, essendo il Drg per il carcinoma mammario corrispondente ad una serie limitata di unici ed uguali importi”.
Malattie reumatiche
Sono oltre 5 milioni gli italiani colpiti, 734mila presentano le forme più disabilitanti e serie. Interessano soprattutto le donne: sino a nove volte più dell’uomo.
In Italia la spesa farmaceutica per queste patologie è di circa 1,5 miliardi di euro, mentre in termini di perdita di produttività i costi si aggirano intorno ai 3 miliardi. Tra perdite di produttività, care giver e cure informali, si stima che il totale dei costi indiretti sia di circa i 2/3 dei costi totali, un 1/3 a carico del Ssn. Il costo annuo medio per paziente è di 8mila euro.
Dai dati Sdo del 2008 è emerso che su un totale di oltre 12 milioni di dismissione, oltre 1,1 milioni riguarda pazienti per i quali malattie dell’apparato muscolo scheletrico sono state il motivo del ricovero (74%) o hanno complicato il trattamento del paziente ricoverato per altri motivi (26%).
Secondo i dati forniti delle organizzazioni dei malati reumatici è emerso che l’iter diagnostico non è ancora adeguatamente rapido nonostante la possibilità di bloccare la progressione della malattia con una diagnosi precoce. C’è inoltre un’estrema eterogeneità tra le diverse Regioni, e anche nell’ambito della stessa Regione, per quanto riguarda l’accesso a strutture specialistiche, la disponibilità delle nuove terapie e l’uso aggiornato dei vecchi farmaci
L'Artrite reumatoide è l’esempio paradigmatico di malattia reumatica. Responsabile di una progressiva disabilità con riduzione delle aspettative di vita di circa 6-10 anni In Italia, meno del 20% dei pazienti presenta una malattia con durata inferiore ai 2 anni. Al contrario, la quasi totalità dei pazienti è affetto da malattia di lunga durata: il 21% ha durata di malattia dai 2 ai 5 anni; il 32% ha durata di malattia da 5 a 10 anni; il 29 % ha durata di malattia oltre 10 anni. Colpisce soggetti di ogni età, con un’incidenza tra le persone in età lavorativa, cioè tra i 25 e i 55 anni.
Osteoartrosi ed osteoporosi, la stima attuale della prevalenza nella popolazione generale italiana si aggira tra il 10 ed il 20 %, tenendo presente la difficoltà di una diagnosi accurata.
Le spondiloartropatie (SpA) comprendono condizioni familiari o croniche, tra cui: Spondilite anchilosante (Sa); Artrite reattiva (ReA)/Sindrome di Reyter (Sr); Artrite psoriasica (APs); Spondiloartropatia associata a malattia infiammatoria intestinale (Ibd); Spondiloartropatia indifferenziata (USpA). È difficile stimare la frequenza delle SpA nella popolazione italiana. Invece la prevalenza della Sa nella popolazione generale è pari allo 0,1 - 0,2%, con un rapporto tra uomini e donne di 3 a 1 o di 2 a 1. Si stima che i pazienti affetti da Sa siano tra i 25 e i 30mila. La patologia colpisce soprattutto gli uomini di età compresa tra 25 e 30 anni con un rapporto di 7 a 3 rispetto alle donne. La prevalenza delle forme autoimmuni infiammatorie sistemiche (connettiviti, vasculiti) è stimata intorno allo 0,5-1 % della popolazione generale.
Per quanto riguarda i farmaci biologici, in Italia il loro tasso di penetrazione è il più basso dei 5 principali Paesi dell’Unione Europea (Germania prezzo più alto dell’Unione Europea, Italia prezzo più basso dei 5 maggiori paesi dell’Ue). Soltanto alcune regioni hanno dato rilevanza alle patologie reumatiche nei Psr. Nel 2009, Puglia e Lombardia hanno attivato percorsi diagnostico-terapeutici per l’artrite reumatoide. La regione Toscana ha stabilito corsie preferenziali per visite specialistiche entro 30 giorni per pazienti con sospetta artrite reumatoide. La regione Lazio ha appena inserito l’Ar tra i progetti speciali del nuovo Psr, ma di fatto permane una sostanziale differenziazione.
Alla luce di quanto emerso nel corso delle audizioni, la Commissione ha concordato sui seguenti punti: nell’ambito della discussione in corso sul Psr 2011-2013, la Commissione si impegna ad inserire le malattie reumatiche nel Piano sanitario e tra le priorità della salute pubblica.
Saranno le Regioni, sempre nell’ambito della programmazione socio-sanitaria, a provvedere all’inclusione delle patologie reumatiche all’interno dei Piani sanitari regionali.
Il Ministero della salute, l’Aifa e le Regioni sono invitate a monitorare l’uniformità di accesso alle cure su tutto il territorio nazionale, attraverso un continuo confronto con le società scientifiche e le associazioni di pazienti.
La Commissione auspica infine la messa in atto di analisi epidemiologiche.
Hiv/Aids
In Italia la trasmissione del virus Hiv rimane legata ai rapporti sessuali mentre diminuiscono le diagnosi legate all’utilizzo di droghe per via iniettiva. Ad oggi nel nostro Paese sono 4000 le persone che si infettano ogni anno.
In base alle ultime analisi del reparto epidemiologia del Dipartimento malattie infettive dell’Iss si stima che in Italia siano circa 150.000 le persone sieropositive che non si sono ancora ammalate di Aids.
Da sottolineare che il numero di casi di Aids conclamato appare sempre meno netto in alcune regioni, dove si registra addirittura un nuovo incremento e che 1 persona su 4 non è consapevole di aver contratto l’infezione. È aumentata sicuramente l’età media alla diagnosi e il numero di casi di infezione da Hiv nella popolazione straniera presente in Italia. Nel 2008, l’età media calcolata è stata di 44 anni per gli uomini e di 40 per le donne: una media molto elevata che evidenza il problema del ritardo della diagnosi. Questo dato è confermato dal costante aumento delle persone che scoprono la sieropositività solo al momento della diagnosi dell’Aids: nel 2008 hanno raggiunto il 59,9 %, mentre diminuisce la percentuale di accertamento di sieropositività più di 6 mesi prima che la malattia sia conclamata. Bisogna evidenziare l’importante dato che registra la diminuzione della percentuale dei giovani con età compresa tra 15 e 24 anni con diagnosi di Aids, che nel biennio 2008-2009 è scesa al 2,2% rispetto al dato dell'11,1% registrato alla fine degli anni Ottanta. ̀Da ricordare che ancora oggi oltre i 2/3 dei giovani con nuove diagnosi si è infettato attraverso rapporti sessuali non protetti, questo anche a causa della scarsità di informazione diretta a questo target specifico. Per quanto riguarda le donne, il 44,3% di tutte le nuove diagnosi riguarda straniere. L’età media del riscontro si è spostata a 35 anni nel 2008 rispetto al dato dei 24 anni riscontrato nel 1985. Nel 2009 il 20% delle donne con Aids ha affermato di avere contratto l’infezione attraverso rapporti sessuali non protetti con un partner che sapeva di essere sieropositivo. Un ulteriore criticità è rappresentata dallo stato di gravidanza. I dati mostrano un aumento del numero di donne con infezione da Hiv in età fertile. Passando all’aspetto economico, la spesa per i farmaci anti Hiv in Italia nel 2009 è stata di circa 500 milioni di euro. Il dato più allarmante risulta quello della variabilità regionale (per spesa) che mostra una differenza di oltre 10 volte tra regioni a basso utilizzo e ad alto utilizzo: si passa infatti da 1,8 euro pro capite del Molise a 13,9 euro pro capite della Lombardia.
I dati raccolti hanno generato alcuni utili spunti di riflessione su possibili aree di intervento:
- i cambiamenti delle modalità di trasmissione dell’infezione e la preoccupante
abitudine, rapporti sessuali non protetti con un partner sieropositivo, potrebbero rendere utile l’organizzazione di incontri mirati di informazione sulla patologia e di educazione sessuale.
- La diagnosi di infezione Hiv è troppo spesso molto vicina o coincide con la
diagnosi di Aids. Può essere utile in tal senso rafforzare campagne di informazione e di promozione della salute mirate, in modo da poter essere efficaci e non dispersive.
- Per contribuire alla riduzione della quota sommersa di sieropositivi diventa fondamentale ampliare l’offerta di test diagnostico per Hiv.
Malattie degenerative: commissione Senato presenta l’indagine conoscitiva
Più screening e un team di operatori specializzati per combattere il tumore al seno (cresciuto del 28% tra le giovani donne negli ultimi 6 anni), inserire le malattie reumatiche nel Piano sanitario e tra le priorità della salute pubblica (in Italia ne soffrono oltre 5 milioni di persone, circa 734mila presentano con forme più disabilitanti e serie), diffondere il test diagnostico per Hiv e ridurre la quota sommersa di sieropositivi (oggi 1 malato su 4 non sa di esserlo). Sono queste le principali linee di azione del documento conclusivo sulle malattie degenerative approvato ieri all’unanimità in commissione Sanità al Senato.
09 MAR - Ecco una sintesi dei principali dati e proposte contenute nel documento conclusivo sulle malattie degenerative (in particolare sul tumore della mammella, sulle malattie reumatiche croniche e sulla sindrome Hiv) approvato ieri all’unanimità in commissione Sanità al Senato.
Tumore al seno
È il cancro al seno la patologia tumorale più frequente nelle donne, prima causa di morte in Italia nella fascia tra i 35 ed i 50 anni, con circa 40mila nuove diagnosi ogni anno. In pratica, 1 donna su 8, nell’arco della vita, viene colpita dal tumore al seno. Nel 30,4% dei casi si tratta di donne con età inferiore a 44 anni, nel 35,7% di donne comprese tra 44 e 65 anni ed il resto sono over 65.
L’indagine sottolinea soprattutto come negli ultimi sei anni si sia registrato un forte aumento dell’incidenza del tumore al seno, pari al 13,8%. Particolarmente allarmante il tasso per le donne under comprese tra i 25 e 44 anni, tra le quali si registra un incremento del 28,6%. Peraltro, la probabilità di morire per un carcinoma mammario in donne con meno di 40 anni è di circa il 52% maggiore rispetto alle donne con più di 40 anni; sia perché nelle donne più giovani le forme tumorali sono più aggressive, sia per la mancanza di screening per una diagnosi tempestiva. Se diagnosticato in uno stadio iniziale e trattato correttamente, infatti, il cancro al seno può essere vinto sino al 98% dei casi.
Molto si sta facendo in questo ambito. Nel 2008 i programmi di screening censiti dalla survey dell’Osservatore nazionale screening (Ons), sono stati 135, cinque in più rispetto all’anno precedente (in particolare, 65 al Nord, 39 al Centro e 31 al Sud). Su base nazionale la popolazione bersaglio è di circa 7.420.000 donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni, di cui l’87% risiede in un’area in cui esiste un programma di screening, ma solamente in 15 Regioni si raggiunge un’estensione territoriale completa su tutta la popolazione bersaglio. A livello di aree geografiche, l’estensione teorica è ormai completa al Nord, stabile al Centro (87,2%) e in aumento dei al Sud, dove si è passati dal 52,4% del 2007 al 69,3% nel 2008. Tuttavia la proporzione di donne che partecipano realmente allo screening rivela differenze ancora più marcate: al Nord si riscontrano valori intorno al 61%, al Centro del 57% e al Sud solo del 34%.
Quote che vanno senz’altro incrementate. La commissione sottolinea inoltre che il gold standard per lo studio epidemiologico dei tumori sarebbe quello di disporre su tutto il territorio nazionale di appositi registri tumori (attualmente la rete dell'Associazione italiana dei registri tumori - Airtum - copre circa il 30% della popolazione italiana ed è diffusa soprattutto nell’Italia del Centro e del Nord), oltre alla possibilità di incrociare il flusso di informazioni a disposizione del Servizio sanitario nazionale attraverso le schede di dimissione ospedaliera (Sdo).
Sulla base dei dati e delle informazioni raccolte nel corso dell’indagine, la Commissione ha inoltre rilevato come la complessità della malattia e delle sue cure spinga a proporre uno sviluppo di "centri dedicati", quale il Centro di senologia e di operatore dedicato, “intendendosi con il primo termine un luogo di cura che tratti almeno 150 casi all’anno di carcinoma della mammella, e con il secondo termine gli operatori sanitari che dedichino una parte prevalente del loro lavoro al tumore al seno (a titolo di esempio radiologi che vedono almeno 1.000 mammografie l’anno, chirurghi che eseguono almeno 50 interventi al seno per anno)”. Inoltre, essendo il tumore al seno una patologia che necessita un approccio interdisciplinare, la commissione sottolinea come il Centro di Senologia debba “poter disporre, per definizione, di un team completo di altri operatori dedicati”. Alcuni considerati “obbligatori”, come l’oncologo medico, il radioterapista, il chirurgo plastico, l’anatomo-patologo e l’infermiera; altri definiti “portatori di valore aggiunto”, quali lo psicologo, il genetista, il riabilitatore e l’esperto di medicina complementare.
La commissione sottolinea infine come “appaia del tutto paradossale che per la cura del tumore alla mammella a fronte di prestazioni assolutamente elementari come la mastectomia si dia luogo alla corresponsione dell’intero Drg, mentre strutture specializzate che offrono alle pazienti trattamenti più complessi e quindi più costosi non ne vedono riconosciuto il valore, essendo il Drg per il carcinoma mammario corrispondente ad una serie limitata di unici ed uguali importi”.
Malattie reumatiche
Sono oltre 5 milioni gli italiani colpiti, 734mila presentano le forme più disabilitanti e serie. Interessano soprattutto le donne: sino a nove volte più dell’uomo.
In Italia la spesa farmaceutica per queste patologie è di circa 1,5 miliardi di euro, mentre in termini di perdita di produttività i costi si aggirano intorno ai 3 miliardi. Tra perdite di produttività, care giver e cure informali, si stima che il totale dei costi indiretti sia di circa i 2/3 dei costi totali, un 1/3 a carico del Ssn. Il costo annuo medio per paziente è di 8mila euro.
Dai dati Sdo del 2008 è emerso che su un totale di oltre 12 milioni di dismissione, oltre 1,1 milioni riguarda pazienti per i quali malattie dell’apparato muscolo scheletrico sono state il motivo del ricovero (74%) o hanno complicato il trattamento del paziente ricoverato per altri motivi (26%).
Secondo i dati forniti delle organizzazioni dei malati reumatici è emerso che l’iter diagnostico non è ancora adeguatamente rapido nonostante la possibilità di bloccare la progressione della malattia con una diagnosi precoce. C’è inoltre un’estrema eterogeneità tra le diverse Regioni, e anche nell’ambito della stessa Regione, per quanto riguarda l’accesso a strutture specialistiche, la disponibilità delle nuove terapie e l’uso aggiornato dei vecchi farmaci
L'Artrite reumatoide è l’esempio paradigmatico di malattia reumatica. Responsabile di una progressiva disabilità con riduzione delle aspettative di vita di circa 6-10 anni In Italia, meno del 20% dei pazienti presenta una malattia con durata inferiore ai 2 anni. Al contrario, la quasi totalità dei pazienti è affetto da malattia di lunga durata: il 21% ha durata di malattia dai 2 ai 5 anni; il 32% ha durata di malattia da 5 a 10 anni; il 29 % ha durata di malattia oltre 10 anni. Colpisce soggetti di ogni età, con un’incidenza tra le persone in età lavorativa, cioè tra i 25 e i 55 anni.
Osteoartrosi ed osteoporosi, la stima attuale della prevalenza nella popolazione generale italiana si aggira tra il 10 ed il 20 %, tenendo presente la difficoltà di una diagnosi accurata.
Le spondiloartropatie (SpA) comprendono condizioni familiari o croniche, tra cui: Spondilite anchilosante (Sa); Artrite reattiva (ReA)/Sindrome di Reyter (Sr); Artrite psoriasica (APs); Spondiloartropatia associata a malattia infiammatoria intestinale (Ibd); Spondiloartropatia indifferenziata (USpA). È difficile stimare la frequenza delle SpA nella popolazione italiana. Invece la prevalenza della Sa nella popolazione generale è pari allo 0,1 - 0,2%, con un rapporto tra uomini e donne di 3 a 1 o di 2 a 1. Si stima che i pazienti affetti da Sa siano tra i 25 e i 30mila. La patologia colpisce soprattutto gli uomini di età compresa tra 25 e 30 anni con un rapporto di 7 a 3 rispetto alle donne. La prevalenza delle forme autoimmuni infiammatorie sistemiche (connettiviti, vasculiti) è stimata intorno allo 0,5-1 % della popolazione generale.
Per quanto riguarda i farmaci biologici, in Italia il loro tasso di penetrazione è il più basso dei 5 principali Paesi dell’Unione Europea (Germania prezzo più alto dell’Unione Europea, Italia prezzo più basso dei 5 maggiori paesi dell’Ue). Soltanto alcune regioni hanno dato rilevanza alle patologie reumatiche nei Psr. Nel 2009, Puglia e Lombardia hanno attivato percorsi diagnostico-terapeutici per l’artrite reumatoide. La regione Toscana ha stabilito corsie preferenziali per visite specialistiche entro 30 giorni per pazienti con sospetta artrite reumatoide. La regione Lazio ha appena inserito l’Ar tra i progetti speciali del nuovo Psr, ma di fatto permane una sostanziale differenziazione.
Alla luce di quanto emerso nel corso delle audizioni, la Commissione ha concordato sui seguenti punti: nell’ambito della discussione in corso sul Psr 2011-2013, la Commissione si impegna ad inserire le malattie reumatiche nel Piano sanitario e tra le priorità della salute pubblica.
Saranno le Regioni, sempre nell’ambito della programmazione socio-sanitaria, a provvedere all’inclusione delle patologie reumatiche all’interno dei Piani sanitari regionali.
Il Ministero della salute, l’Aifa e le Regioni sono invitate a monitorare l’uniformità di accesso alle cure su tutto il territorio nazionale, attraverso un continuo confronto con le società scientifiche e le associazioni di pazienti.
La Commissione auspica infine la messa in atto di analisi epidemiologiche.
Hiv/Aids
In Italia la trasmissione del virus Hiv rimane legata ai rapporti sessuali mentre diminuiscono le diagnosi legate all’utilizzo di droghe per via iniettiva. Ad oggi nel nostro Paese sono 4000 le persone che si infettano ogni anno.
In base alle ultime analisi del reparto epidemiologia del Dipartimento malattie infettive dell’Iss si stima che in Italia siano circa 150.000 le persone sieropositive che non si sono ancora ammalate di Aids.
Da sottolineare che il numero di casi di Aids conclamato appare sempre meno netto in alcune regioni, dove si registra addirittura un nuovo incremento e che 1 persona su 4 non è consapevole di aver contratto l’infezione. È aumentata sicuramente l’età media alla diagnosi e il numero di casi di infezione da Hiv nella popolazione straniera presente in Italia. Nel 2008, l’età media calcolata è stata di 44 anni per gli uomini e di 40 per le donne: una media molto elevata che evidenza il problema del ritardo della diagnosi. Questo dato è confermato dal costante aumento delle persone che scoprono la sieropositività solo al momento della diagnosi dell’Aids: nel 2008 hanno raggiunto il 59,9 %, mentre diminuisce la percentuale di accertamento di sieropositività più di 6 mesi prima che la malattia sia conclamata. Bisogna evidenziare l’importante dato che registra la diminuzione della percentuale dei giovani con età compresa tra 15 e 24 anni con diagnosi di Aids, che nel biennio 2008-2009 è scesa al 2,2% rispetto al dato dell'11,1% registrato alla fine degli anni Ottanta. ̀Da ricordare che ancora oggi oltre i 2/3 dei giovani con nuove diagnosi si è infettato attraverso rapporti sessuali non protetti, questo anche a causa della scarsità di informazione diretta a questo target specifico. Per quanto riguarda le donne, il 44,3% di tutte le nuove diagnosi riguarda straniere. L’età media del riscontro si è spostata a 35 anni nel 2008 rispetto al dato dei 24 anni riscontrato nel 1985. Nel 2009 il 20% delle donne con Aids ha affermato di avere contratto l’infezione attraverso rapporti sessuali non protetti con un partner che sapeva di essere sieropositivo. Un ulteriore criticità è rappresentata dallo stato di gravidanza. I dati mostrano un aumento del numero di donne con infezione da Hiv in età fertile. Passando all’aspetto economico, la spesa per i farmaci anti Hiv in Italia nel 2009 è stata di circa 500 milioni di euro. Il dato più allarmante risulta quello della variabilità regionale (per spesa) che mostra una differenza di oltre 10 volte tra regioni a basso utilizzo e ad alto utilizzo: si passa infatti da 1,8 euro pro capite del Molise a 13,9 euro pro capite della Lombardia.
I dati raccolti hanno generato alcuni utili spunti di riflessione su possibili aree di intervento:
- i cambiamenti delle modalità di trasmissione dell’infezione e la preoccupante
abitudine, rapporti sessuali non protetti con un partner sieropositivo, potrebbero rendere utile l’organizzazione di incontri mirati di informazione sulla patologia e di educazione sessuale.
- La diagnosi di infezione Hiv è troppo spesso molto vicina o coincide con la
diagnosi di Aids. Può essere utile in tal senso rafforzare campagne di informazione e di promozione della salute mirate, in modo da poter essere efficaci e non dispersive.
- Per contribuire alla riduzione della quota sommersa di sieropositivi diventa fondamentale ampliare l’offerta di test diagnostico per Hiv.
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