Politici e lobby contro il progresso della Scienza
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Politici e lobby contro il progresso della Scienza
Per chi ha un po di tempo, puo' dedicarsi alla lettura di questo articolo, e' interessante..
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Politici e lobby contro il progresso della Scienza
a cura di Elena Cattaneo e Gilberto Corbellini
La seconda metà del ventesimo secolo ha visto il rapporto tra società, politica, e scienza divenire progressivamente complesso e controverso, specialmente nei paesi democratici, dove l’applicazione della ricerca scientifica e la diffusione della conoscenza hanno contribuito ad un notevole incremento del benessere dei cittadini. Gli scienziati hanno dovuto confrontarsi con le interferenze di lobby politiche, religiose ed ideologiche.
Persino la comunità scientifica statunitense, apparentemente molto forte, ha subito una ‘epidemia della politica’ durante l’amministrazione del presidente George W. Bush. Questa ‘infezione della scienza’ è stata caratterizzata da un improprio immischiarsi della politica nella ricerca, specialmente nei settori più controversi della ricerca, sulla spinta di pregiudizi politici ed argomentazioni religiose […]
La scienza italiana si è spesso trovata aggrovigliata in controversie politiche: dopo l’unificazione del paese nel 1861, durante gli ultimi due decenni dell’Ottocento ed il primo decennio del Novecento, gli scienziati italiani parteciparono attivamente ai dibattiti politici su come migliorare ed integrare i vari settori della società italiana, cultura, economia, salute, e così via. Tuttavia, sin dall’inizio essi confusero le battaglie politiche con il proprio status professionale e/o con discordie scientifiche (Casella et al, 2000).
Durante tutta l’era fascista, la comunità scientifica, in parallelo al resto della società, era assoggettata al potere del regime di Benito Mussolini (Maiocchi, 2004); dopo la Seconda Guerra Mondiale, le ideologie cattoliche e marxiste impedirono l’emergere di una comunità scientifica autonoma, sicché gli scienziati italiani hanno avuto ed hanno ancor oggi ben poca influenza culturale o politica. […]
I politici, intellettuali influenti, ed attivisti, che si oppongono alla ricerca ed all’innovazione per varie ragioni, hanno adottato la strategia di tentare di manipolare e censurare i fatti: invece di confrontarsi direttamente con l’evidenza scientifica, mantengono un alto grado di controllo politico sulla ricerca scientifica e le sue applicazioni: ne consegue che la veridicità dell’evidenza scientifica è divenuta opzionale ed il suo uso è divenuto arbitrario nei dibattiti politici e pubblici.
Questa situazione è ormai quasi de rigueur dall’avvento di Silvio Berlusconi nel 1994, sebbene sarebbe ingiusto dire che l’attuale premier ne sia il principale responsabile. E’ indubbio che tra i molti fattori che hanno fatto sì che la scienza italiana diventasse vittima dell’influenza politica, si possono contare: il prevalente approccio poco trasparente e nepotistico in materia dei finanziamenti pubblici per la ricerca; la cronica impotenza culturale e politica degli scienziati italiani; il declino della qualità professionale delle élite nazionali, sia politiche che intellettuali (Corbellini, 2009). Gli esempi qui mostrati dovrebbero illustrare sia le debolezze della comunità scientifica italiana, sia come i politici di tutte le appartenenze siano stati riluttanti a comprendere e rispettare il valore dell’evidenza e delle procedure scientifiche.
Nel 1997, i media italiani presentarono ai lettori una campagna d’informazione su una presunta efficace cura per il cancro, sviluppata da Luigi Di Bella, allora dottore e professore all’Università di Modena. Il caos mediatico fu così convincente che un giudice della Puglia ordinò alle autorità sanitarie locali di fornire ai pazienti la miscela di farmaci necessaria a tale cura, nonostante l’assenza di basi scientifiche per le dichiarazioni o di evidenza clinica riguardo all’efficacia del trattamento (Remuzzi & Schieppato, 1999). La Multi-terapia Di Bella (DBM) – come fu denominata – divenne presto un motivo di scontri tra i membri di partiti di destra, a favore del trattamento, e dei più scettici membri del partito di governo di centro-sinistra. Gli scontri continuarono fin quando il Ministro della Sanità, con il sostegno di illustri oncologi italiani, promosse finalmente un controverso “trial” clinico, il che espose la comunità medica italiana a critiche internazionali (Müllner, 1999) e fece luce sulla mancanza di un’accurata e concreta informazione scientifica nella sfera pubblica (Passalacqua et al. 1999).
Tra la fine del 2000 e l’inizio del 2001, alcuni biotecnologi italiani protestarono contro una proposta di legge del ministero dell’agricoltura del governo di centro-sinistra che avrebbe abolito i fondi ad ogni ricerca sugli OGM (Frank, 2000): onde evitare che l’opposizione sfruttasse la protesta politicamente, il decreto legge fu abbandonato, ma quando nel maggio del 2001 la coalizione di centro-destra vinse le elezioni, il nuovo Ministero dell’Agricoltura si dimostrò altrettanto contrario all’uso degli OGM; […]
Durante il dibattito svoltosi a seguito all’introduzione della legge 40 sulla limitazione della fecondazione in vitro e sul divieto dell’uso degli embrioni umani a scopi di ricerca introdotta nel 2004 con il chiaro appoggio, sebbene non ufficiale, della Chiesa Cattolica si sono avuti alcuni esempi interessanti della manipolazione e censura della scienza: secondo questa legge, ciascun intervento in vitro può creare soltanto tre embrioni, i quali devono essere impiantati tutti insieme nell’utero materno (Boggio, 2005) – ma questo è contrario alle linee guida internazionali sulla prassi clinica ([Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link] eshre.eu). Inoltre, la legge 40 proibisce la diagnosi pre-impianto e la crioconservazione degli embrioni, come anche la possibilità di generare linee di cellule embrionali staminali, persino quando queste fossero ottenute dagli embrioni superflui di data anteriore all’entrata in vigore della legge e destinate comunque a rimanere in crioconservazione indefinitivamente.
Nel 2005, partiti di sinistra e gruppi a difesa dei pazienti chiesero un referendum per l’abrogazione della legge 40, il che portò ad una feroce diatriba con politici cattolici che, sostenuti da un gruppetto di scienziati, si appellarono agli elettori affinché boicottassero il referendum, dando ad intendere che la legge fosse scientificamente provata e costituisse una maggior salvaguardia per le pazienti (Vogel, 2005; Boggio & Corbellini, 2009). […]
I precedenti esempi hanno messo in mostra come i politici e varie lobby hanno soppresso la libertà ed il progresso della scienza in Italia; gli esempi che seguono mostreranno come l’influenza ed interferenza della politica stanno mettendo a rischio la competitività della ricerca italiana nel panorama internazionale.
L’insegnamento dell’evoluzione ha rischiato di esser abolito dal programma delle scuole elementari italiane, grazie ad un programma di riforma istigato dal governo di centro-destra nel 2003, ed è stato poi reintrodotto soltanto a causa del conflitto apertosi tra il Consiglio dei ministri e la stampa di centro-sinistra (Frazzetto, 2004). Lo stesso governo di destra si è opposto alla creazione del Consiglio Europeo per la Ricerca, in base al fatto che sarebbe stato troppo indipendente dal controllo politico (ftp://ftp.cordis.europa.eu/pub/italy/docs/positionfp7_it.pdf): ciò non ci sorprende, in un Paese in cui le cattedre degli istituti di pubblica ricerca ed i direttori scientifici di centri di ricerca ospedaliera sono scelti dal governo (con alcune notevoli eccezioni – vedi Anon, 2008), e dove i fondi sono spesso concessi dall’alto con decreti governativi a particolari istituti, senza bandi pubblici o peer review (Margottini, 2008).
Persino quando i fondi sono soggetti a peer review, esiste purtroppo un’evidente e diffusa tolleranza del conflitto d’interessi, per il fatto che questi fondi talvolta finiscono in quei laboratori che hanno una diretta affiliazione con i membri della commissione di valutazione (Parlamento italiano, 2006).
In Italia mancano sia un’agenzia indipendente per la ricerca che un obbligatorio processo di selezione oggettiva e trasparente: i criteri e le direttive che determinano quali attività di ricerca debbano ricevere finanziamenti pubblici sono spesso stabiliti direttamente dai rispettivi ministeri, aumentando così il rischio d’interferenza politica. Fu così nel caso di Barbara Ensoli nel 2007 – dell’Istituto Superiore di Sanità di Roma – la quale, secondo i suoi colleghi, aveva ricevuto una spropositata parte dei fondi governativi, senza peer review ed ignorando il fatto che la sua ricerca su di un vaccino per l’HIV/AIDS fosse, a detta di alcuni scienziati, poco convincente (Cohen, 2007).
Tuttavia, nel 2009 il Ministero della Sanità ha escluso ogni progetto basato sulla creazione di linee di cellule staminali embrionali umane dalle proposte di finanziamento alla ricerca sulle cellule staminali; uno degli autori di questo articolo, Elena Cattaneo, si sta attualmente battendo in tribunale contro questa decisione ministeriale (Cattaneo et al, 2010); per di più, nell’ottobre del 2010 il Ministero della Sanità ha deciso, motu proprio, di concedere 3 milioni di euro ad una fondazione privata che si vantava di aver creato cellule staminali umane adulte pronte per essere testate su pazienti affetti da malattie neurodegenerative. Questo ha avuto luogo nonostante le dichiarazioni dello stesso ministero pochi mesi prima, in cui diceva che la concessione di fondi pubblici alla ricerca dovesse essere oggetto di peer review.
Se gli scienziati italiani volessero avere un ruolo di guida al timone del futuro e della società, dovrebbero pretendere, rinstaurare e mantenere solidi principii in materia di trasparenza e competizione nella distribuzione dei finanziamenti pubblici; ciò significa che quei singoli ricercatori i quali godono degli effimeri benefici di una deferenza nei confronti dei politici e dello sfruttamento di conflitti d’interesse, dovrebbero essere messi in evidenza nella comunità scientifica come un cattivo esempio il cui comportamento reca danni non solo alla scienza ma anche all’uso della pratica scientifica come modello di etica pubblica.
Dobbiamo sperare che gli esperti di sociologia e di politiche sulla scienza trovino meritevoli della loro attenzione la censura della scienza, la manipolazione dei fatti, e la mancanza di valutazione “peer review” oggettivi in Italia, e che intervengano in nome della scienza italiana; si dovrebbero però confrontare con un interessante paradosso, cioè che proprio questi esempi di condotta abnorme sono spesso difesi in nome di presunti principii democratici: ad esempio, l’introduzione della legge 40 venne giustificata in pubblico affermando una presunta opposizione della maggioranza degli italiani all’uso delle cellule staminali embrionali a scopo di ricerca – il che, tra l’altro, è un falso (Eurobarometer, 2006) – e la sentenza del giudice della Puglia sulla terapia Di Bella fu emessa in nome della costituzione italiana, che garantisce la libertà individuale di accesso alle cure.
Ci si potrebbe chiedere se la situazione italiana non sia semplicemente dovuta ad un deterioramento dei rapporti fra scienza e società, o anche fra scienziati e politici – detto in altri termini, la situazione italiana è un’eccezione ma anche un modello di quel che potrebbe avverarsi in altri paesi. A prescindere da tutto ciò, il dilemma degli scienziati e della scienza in Italia dovrebbe servire da esempio a dimostrazione di ciò che accade quando le regole della trasparenza sono ignorate, quando la comunita’ scientifica rimane per lo più muta, quando le verità scientifiche hanno minima influenza politica, e quando la capacità di comunicazione degli scienziati è priva di munizioni di fronte ad una propaganda ideologica che effettua una manipolazione dei fatti su grande scala (Corbellini, 2010). L’esperienza degli scienziati statunitensi sotto l’amministrazione di Bush dimostra come tutto ciò non sia impossibile in altri paesi e che, per citare lo statista britannico Edmund Burke (1729 – 1797): “Dove gli scienziati buoni non agiscono, lì sboccerà una cattiva scienza”.
(traduzione di Francesco Sani dell’articolo di Elena Cattaneo e Gilberto Corbellini, pubblicato il 10 dicembre 2010 su Embo Reports)
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a cura di Elena Cattaneo e Gilberto Corbellini
La seconda metà del ventesimo secolo ha visto il rapporto tra società, politica, e scienza divenire progressivamente complesso e controverso, specialmente nei paesi democratici, dove l’applicazione della ricerca scientifica e la diffusione della conoscenza hanno contribuito ad un notevole incremento del benessere dei cittadini. Gli scienziati hanno dovuto confrontarsi con le interferenze di lobby politiche, religiose ed ideologiche.
Persino la comunità scientifica statunitense, apparentemente molto forte, ha subito una ‘epidemia della politica’ durante l’amministrazione del presidente George W. Bush. Questa ‘infezione della scienza’ è stata caratterizzata da un improprio immischiarsi della politica nella ricerca, specialmente nei settori più controversi della ricerca, sulla spinta di pregiudizi politici ed argomentazioni religiose […]
La scienza italiana si è spesso trovata aggrovigliata in controversie politiche: dopo l’unificazione del paese nel 1861, durante gli ultimi due decenni dell’Ottocento ed il primo decennio del Novecento, gli scienziati italiani parteciparono attivamente ai dibattiti politici su come migliorare ed integrare i vari settori della società italiana, cultura, economia, salute, e così via. Tuttavia, sin dall’inizio essi confusero le battaglie politiche con il proprio status professionale e/o con discordie scientifiche (Casella et al, 2000).
Durante tutta l’era fascista, la comunità scientifica, in parallelo al resto della società, era assoggettata al potere del regime di Benito Mussolini (Maiocchi, 2004); dopo la Seconda Guerra Mondiale, le ideologie cattoliche e marxiste impedirono l’emergere di una comunità scientifica autonoma, sicché gli scienziati italiani hanno avuto ed hanno ancor oggi ben poca influenza culturale o politica. […]
I politici, intellettuali influenti, ed attivisti, che si oppongono alla ricerca ed all’innovazione per varie ragioni, hanno adottato la strategia di tentare di manipolare e censurare i fatti: invece di confrontarsi direttamente con l’evidenza scientifica, mantengono un alto grado di controllo politico sulla ricerca scientifica e le sue applicazioni: ne consegue che la veridicità dell’evidenza scientifica è divenuta opzionale ed il suo uso è divenuto arbitrario nei dibattiti politici e pubblici.
Questa situazione è ormai quasi de rigueur dall’avvento di Silvio Berlusconi nel 1994, sebbene sarebbe ingiusto dire che l’attuale premier ne sia il principale responsabile. E’ indubbio che tra i molti fattori che hanno fatto sì che la scienza italiana diventasse vittima dell’influenza politica, si possono contare: il prevalente approccio poco trasparente e nepotistico in materia dei finanziamenti pubblici per la ricerca; la cronica impotenza culturale e politica degli scienziati italiani; il declino della qualità professionale delle élite nazionali, sia politiche che intellettuali (Corbellini, 2009). Gli esempi qui mostrati dovrebbero illustrare sia le debolezze della comunità scientifica italiana, sia come i politici di tutte le appartenenze siano stati riluttanti a comprendere e rispettare il valore dell’evidenza e delle procedure scientifiche.
Nel 1997, i media italiani presentarono ai lettori una campagna d’informazione su una presunta efficace cura per il cancro, sviluppata da Luigi Di Bella, allora dottore e professore all’Università di Modena. Il caos mediatico fu così convincente che un giudice della Puglia ordinò alle autorità sanitarie locali di fornire ai pazienti la miscela di farmaci necessaria a tale cura, nonostante l’assenza di basi scientifiche per le dichiarazioni o di evidenza clinica riguardo all’efficacia del trattamento (Remuzzi & Schieppato, 1999). La Multi-terapia Di Bella (DBM) – come fu denominata – divenne presto un motivo di scontri tra i membri di partiti di destra, a favore del trattamento, e dei più scettici membri del partito di governo di centro-sinistra. Gli scontri continuarono fin quando il Ministro della Sanità, con il sostegno di illustri oncologi italiani, promosse finalmente un controverso “trial” clinico, il che espose la comunità medica italiana a critiche internazionali (Müllner, 1999) e fece luce sulla mancanza di un’accurata e concreta informazione scientifica nella sfera pubblica (Passalacqua et al. 1999).
Tra la fine del 2000 e l’inizio del 2001, alcuni biotecnologi italiani protestarono contro una proposta di legge del ministero dell’agricoltura del governo di centro-sinistra che avrebbe abolito i fondi ad ogni ricerca sugli OGM (Frank, 2000): onde evitare che l’opposizione sfruttasse la protesta politicamente, il decreto legge fu abbandonato, ma quando nel maggio del 2001 la coalizione di centro-destra vinse le elezioni, il nuovo Ministero dell’Agricoltura si dimostrò altrettanto contrario all’uso degli OGM; […]
Durante il dibattito svoltosi a seguito all’introduzione della legge 40 sulla limitazione della fecondazione in vitro e sul divieto dell’uso degli embrioni umani a scopi di ricerca introdotta nel 2004 con il chiaro appoggio, sebbene non ufficiale, della Chiesa Cattolica si sono avuti alcuni esempi interessanti della manipolazione e censura della scienza: secondo questa legge, ciascun intervento in vitro può creare soltanto tre embrioni, i quali devono essere impiantati tutti insieme nell’utero materno (Boggio, 2005) – ma questo è contrario alle linee guida internazionali sulla prassi clinica ([Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link] eshre.eu). Inoltre, la legge 40 proibisce la diagnosi pre-impianto e la crioconservazione degli embrioni, come anche la possibilità di generare linee di cellule embrionali staminali, persino quando queste fossero ottenute dagli embrioni superflui di data anteriore all’entrata in vigore della legge e destinate comunque a rimanere in crioconservazione indefinitivamente.
Nel 2005, partiti di sinistra e gruppi a difesa dei pazienti chiesero un referendum per l’abrogazione della legge 40, il che portò ad una feroce diatriba con politici cattolici che, sostenuti da un gruppetto di scienziati, si appellarono agli elettori affinché boicottassero il referendum, dando ad intendere che la legge fosse scientificamente provata e costituisse una maggior salvaguardia per le pazienti (Vogel, 2005; Boggio & Corbellini, 2009). […]
I precedenti esempi hanno messo in mostra come i politici e varie lobby hanno soppresso la libertà ed il progresso della scienza in Italia; gli esempi che seguono mostreranno come l’influenza ed interferenza della politica stanno mettendo a rischio la competitività della ricerca italiana nel panorama internazionale.
L’insegnamento dell’evoluzione ha rischiato di esser abolito dal programma delle scuole elementari italiane, grazie ad un programma di riforma istigato dal governo di centro-destra nel 2003, ed è stato poi reintrodotto soltanto a causa del conflitto apertosi tra il Consiglio dei ministri e la stampa di centro-sinistra (Frazzetto, 2004). Lo stesso governo di destra si è opposto alla creazione del Consiglio Europeo per la Ricerca, in base al fatto che sarebbe stato troppo indipendente dal controllo politico (ftp://ftp.cordis.europa.eu/pub/italy/docs/positionfp7_it.pdf): ciò non ci sorprende, in un Paese in cui le cattedre degli istituti di pubblica ricerca ed i direttori scientifici di centri di ricerca ospedaliera sono scelti dal governo (con alcune notevoli eccezioni – vedi Anon, 2008), e dove i fondi sono spesso concessi dall’alto con decreti governativi a particolari istituti, senza bandi pubblici o peer review (Margottini, 2008).
Persino quando i fondi sono soggetti a peer review, esiste purtroppo un’evidente e diffusa tolleranza del conflitto d’interessi, per il fatto che questi fondi talvolta finiscono in quei laboratori che hanno una diretta affiliazione con i membri della commissione di valutazione (Parlamento italiano, 2006).
In Italia mancano sia un’agenzia indipendente per la ricerca che un obbligatorio processo di selezione oggettiva e trasparente: i criteri e le direttive che determinano quali attività di ricerca debbano ricevere finanziamenti pubblici sono spesso stabiliti direttamente dai rispettivi ministeri, aumentando così il rischio d’interferenza politica. Fu così nel caso di Barbara Ensoli nel 2007 – dell’Istituto Superiore di Sanità di Roma – la quale, secondo i suoi colleghi, aveva ricevuto una spropositata parte dei fondi governativi, senza peer review ed ignorando il fatto che la sua ricerca su di un vaccino per l’HIV/AIDS fosse, a detta di alcuni scienziati, poco convincente (Cohen, 2007).
Tuttavia, nel 2009 il Ministero della Sanità ha escluso ogni progetto basato sulla creazione di linee di cellule staminali embrionali umane dalle proposte di finanziamento alla ricerca sulle cellule staminali; uno degli autori di questo articolo, Elena Cattaneo, si sta attualmente battendo in tribunale contro questa decisione ministeriale (Cattaneo et al, 2010); per di più, nell’ottobre del 2010 il Ministero della Sanità ha deciso, motu proprio, di concedere 3 milioni di euro ad una fondazione privata che si vantava di aver creato cellule staminali umane adulte pronte per essere testate su pazienti affetti da malattie neurodegenerative. Questo ha avuto luogo nonostante le dichiarazioni dello stesso ministero pochi mesi prima, in cui diceva che la concessione di fondi pubblici alla ricerca dovesse essere oggetto di peer review.
Se gli scienziati italiani volessero avere un ruolo di guida al timone del futuro e della società, dovrebbero pretendere, rinstaurare e mantenere solidi principii in materia di trasparenza e competizione nella distribuzione dei finanziamenti pubblici; ciò significa che quei singoli ricercatori i quali godono degli effimeri benefici di una deferenza nei confronti dei politici e dello sfruttamento di conflitti d’interesse, dovrebbero essere messi in evidenza nella comunità scientifica come un cattivo esempio il cui comportamento reca danni non solo alla scienza ma anche all’uso della pratica scientifica come modello di etica pubblica.
Dobbiamo sperare che gli esperti di sociologia e di politiche sulla scienza trovino meritevoli della loro attenzione la censura della scienza, la manipolazione dei fatti, e la mancanza di valutazione “peer review” oggettivi in Italia, e che intervengano in nome della scienza italiana; si dovrebbero però confrontare con un interessante paradosso, cioè che proprio questi esempi di condotta abnorme sono spesso difesi in nome di presunti principii democratici: ad esempio, l’introduzione della legge 40 venne giustificata in pubblico affermando una presunta opposizione della maggioranza degli italiani all’uso delle cellule staminali embrionali a scopo di ricerca – il che, tra l’altro, è un falso (Eurobarometer, 2006) – e la sentenza del giudice della Puglia sulla terapia Di Bella fu emessa in nome della costituzione italiana, che garantisce la libertà individuale di accesso alle cure.
Ci si potrebbe chiedere se la situazione italiana non sia semplicemente dovuta ad un deterioramento dei rapporti fra scienza e società, o anche fra scienziati e politici – detto in altri termini, la situazione italiana è un’eccezione ma anche un modello di quel che potrebbe avverarsi in altri paesi. A prescindere da tutto ciò, il dilemma degli scienziati e della scienza in Italia dovrebbe servire da esempio a dimostrazione di ciò che accade quando le regole della trasparenza sono ignorate, quando la comunita’ scientifica rimane per lo più muta, quando le verità scientifiche hanno minima influenza politica, e quando la capacità di comunicazione degli scienziati è priva di munizioni di fronte ad una propaganda ideologica che effettua una manipolazione dei fatti su grande scala (Corbellini, 2010). L’esperienza degli scienziati statunitensi sotto l’amministrazione di Bush dimostra come tutto ciò non sia impossibile in altri paesi e che, per citare lo statista britannico Edmund Burke (1729 – 1797): “Dove gli scienziati buoni non agiscono, lì sboccerà una cattiva scienza”.
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