XIX conferenza mondiale sull'AIDS
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XIX conferenza mondiale sull'AIDS
L’AIDS prima e dopo il vertice
La XIX conferenza mondiale sull'AIDS si teneva la settimana scorsa negli Stati Uniti per la prima volta dal divieto, nel 1987, di ingresso nel paese agli stranieri sieropositivi, abrogato nel 2010. Apriva sotto il segno di un "cauto ottimismo". Giustificato? Sì, ma...
L'anno scorso a Roma, il trentennale della scoperta dell'AIDS era stata l'occasione per annunciare trionfalmente alcune novità. Le terapie antiretrovirali (ARV) prevenivano la trasmissione dell'HIV dal partner sieropositivo a quello sieronegativo. Un gel vaginale sviluppato in Sudafrica pareva proteggere le donne dalla trasmissione del virus.
Cinque anni fa il "paziente di Berlino" era stato curato da un trapianto- contro la leucemia di cui stava morendo- di cellule staminali del midollo prelevate da un donatore e resistenti all'HIV grazie a una rara mutazione genetica. Dopo un trapianto di staminali del midollo prive di quella mutazione, altri due pazienti americani sarebbero senza traccia di HIV da due anni e da tre anni e mezzo. Il gel vaginale non ha mantenuto le promesse. L'ormai ex paziente Timothy Ray Brown è sempre in buona salute, ma consapevole di essere sopravvissuto grazie a un intervento rischioso che esige strutture e personale sanitario da paese molto ricco.
Eppure il bilancio globale è positivo: altri due pazienti sarebbero stati "curati" da un trapianto di staminali del midollo prive di quella mutazione. Dal 2005 le morti di AIDS declinano, si legge nel rapporto dell'UNAIDS, le nuove infezioni si sono ridotte del 25%, anche se quelle delle ragazze tra i 15 e i 24 anni sono tuttora il doppio rispetto a quelle dei loro coetanei.
Nei paesi poveri, la prevenzione più efficace resta il preservativo, seguita dalla circoncisione.
I risultati di nuovi esperimenti clinici in Kenya e in Botswana hanno confermato la validità della profilassi con le ARV. Ma nei paesi poveri che pagano metà della spesa mondiale contro l'AIDS, già mancano i fondi per distribuirle a tutti i malati.
Il fatto che la conferenza si tenesse a Washington ha sottolineato un paradosso amaro. I progressi terapeutici si devono innanzitutto alla ricerca fatta negli Stati Uniti, il donatore più generoso nella lotta all'AIDS e, nel contempo, il paese ricco con la più alta percentuale di sieropositivi (stima per difetto: 1,2 milioni). L'epidemia di AIDS dilaga negli stati del "profondo sud", fra gli afro-americani, i poveri, i tossicodipendenti e gli emarginati. Il governo ha incoraggiato le "iniziative basate sulla fede", le prediche sull'astinenza prima del matrimonio e sulla fedeltà coniugale poi. Nel frattempo, l'accesso alla sanità era negato ai poveri, lo scambio di siringhe vietato per legge, la discriminazione razziale e sessuale tollerata.
"This must end", così diceva nell'intervento conclusivo Françoise Barré-Sinoussi, premio Nobel 2008 insieme a Harald zur Hausen e Luc Montagnier per la scoperta dell'HIV. Ma non è candidata alle prossime elezioni presidenziali.
Sylvie Coyaud
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La XIX conferenza mondiale sull'AIDS si teneva la settimana scorsa negli Stati Uniti per la prima volta dal divieto, nel 1987, di ingresso nel paese agli stranieri sieropositivi, abrogato nel 2010. Apriva sotto il segno di un "cauto ottimismo". Giustificato? Sì, ma...
L'anno scorso a Roma, il trentennale della scoperta dell'AIDS era stata l'occasione per annunciare trionfalmente alcune novità. Le terapie antiretrovirali (ARV) prevenivano la trasmissione dell'HIV dal partner sieropositivo a quello sieronegativo. Un gel vaginale sviluppato in Sudafrica pareva proteggere le donne dalla trasmissione del virus.
Cinque anni fa il "paziente di Berlino" era stato curato da un trapianto- contro la leucemia di cui stava morendo- di cellule staminali del midollo prelevate da un donatore e resistenti all'HIV grazie a una rara mutazione genetica. Dopo un trapianto di staminali del midollo prive di quella mutazione, altri due pazienti americani sarebbero senza traccia di HIV da due anni e da tre anni e mezzo. Il gel vaginale non ha mantenuto le promesse. L'ormai ex paziente Timothy Ray Brown è sempre in buona salute, ma consapevole di essere sopravvissuto grazie a un intervento rischioso che esige strutture e personale sanitario da paese molto ricco.
Eppure il bilancio globale è positivo: altri due pazienti sarebbero stati "curati" da un trapianto di staminali del midollo prive di quella mutazione. Dal 2005 le morti di AIDS declinano, si legge nel rapporto dell'UNAIDS, le nuove infezioni si sono ridotte del 25%, anche se quelle delle ragazze tra i 15 e i 24 anni sono tuttora il doppio rispetto a quelle dei loro coetanei.
Nei paesi poveri, la prevenzione più efficace resta il preservativo, seguita dalla circoncisione.
I risultati di nuovi esperimenti clinici in Kenya e in Botswana hanno confermato la validità della profilassi con le ARV. Ma nei paesi poveri che pagano metà della spesa mondiale contro l'AIDS, già mancano i fondi per distribuirle a tutti i malati.
Il fatto che la conferenza si tenesse a Washington ha sottolineato un paradosso amaro. I progressi terapeutici si devono innanzitutto alla ricerca fatta negli Stati Uniti, il donatore più generoso nella lotta all'AIDS e, nel contempo, il paese ricco con la più alta percentuale di sieropositivi (stima per difetto: 1,2 milioni). L'epidemia di AIDS dilaga negli stati del "profondo sud", fra gli afro-americani, i poveri, i tossicodipendenti e gli emarginati. Il governo ha incoraggiato le "iniziative basate sulla fede", le prediche sull'astinenza prima del matrimonio e sulla fedeltà coniugale poi. Nel frattempo, l'accesso alla sanità era negato ai poveri, lo scambio di siringhe vietato per legge, la discriminazione razziale e sessuale tollerata.
"This must end", così diceva nell'intervento conclusivo Françoise Barré-Sinoussi, premio Nobel 2008 insieme a Harald zur Hausen e Luc Montagnier per la scoperta dell'HIV. Ma non è candidata alle prossime elezioni presidenziali.
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