HIV, nei sieropositivi frequente reinfezione con ceppi diversi
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HIV, nei sieropositivi frequente reinfezione con ceppi diversi
Le persone che sono state esposte ripetutamente al virus HIV possono essere infettate da ceppi virali diversi in tempi diversi, un fenomeno chiamato ‘superinfezione’ (o ‘sovrainfezione’). E il rischio di sovrainfezione sembra essere simile a quello dell’infezione iniziale; in altre parole, il primo contagio pare non proteggere da infezioni successive da parte di ceppi virali diversi.
Lo ha spiegato Keshet Ronen, del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle, presentando i risultati di uno studio epidemiologico su donne keniote in occasione della Conferenza annuale sui retrovirus e le infezioni opportunistiche (CROI), terminata pochi giorni fa a Seattle.
Resta ancora da chiarire, ha detto l’autrice, è se il fenomeno abbia un effetto clinico e che ruolo possa avere la risposta immunitaria all’infezione iniziale in quella successiva.
Durante la sua presentazione la Ronen ha anche spiegato che il fenomeno è già stato osservato in precedenza, ma finora è stato difficile arrivare a stime precise sulla sua frequenza.
Per colmare questo divario, i ricercatori hanno analizzato una coorte di circa 2.700 donne lavoratrici di Mombasa, in Kenya, di cui circa 300 sieropositive, utilizzando una nuova tecnica di sequenziamento genico, chiamata " pirosequenziamento ultra-profondo", che ha permesso loro di distinguere tra i geni gag, pol e env di diversi ceppi virali.
Applicando questa metodica, gli autori hanno confrontato campioni prelevati entro 6 mesi dalla diagnosi con quelli prelevati più di 2 anni più tardi e in altri momenti intermedi (da uno a tre).
Su 107 donne testate finora, 19 hanno mostrato segni di sovrainfezione, perché avevano un solo ceppo identificabile nel primo campione e due in un momento successivo.
Nell’intera coorte, il rischio annuale di una prima infezione da HIV è risultato di circa 3,25% per 100 persone-anni, mentre nel gruppo di donne sieropositive il rischio di superinfezione è risultato di circa 3,06% per 100 persone-anni. Dunque, non molto diverso.
L’autrice ha avvertito che queste stime vanno considerate preliminari; malgrado ciò secondo Beatrice Hahn, della University of Pennsylvania di Philadelphia, moderatrice della conferenza stampa di presentazione dello studio, i risultati sono importanti per dare le risposte a due domande chiave su questa materia.
La prima è se in un paziente con una sovrainfezione il decorso della malattia sia la stesso o sia diverso rispetto a quello di un paziente con un’infezione singola. Ci sono stati casi documentati di una doppia infezione avvenuta nello stesso momento e in tali casi ci sono evidenze che la malattia sia più aggressiva, ha spiegato la moderatrice.
L'altra questione è se la prima risposta immunitaria al virus, al momento della prima infezione, aiuti o meno a prevenire le infezioni successive. È molto importante sapere fino a che punto una prima risposta immunitaria sia protettiva oppure no, ha detto la Hahn. Lo studio presentato al CROI sembra smentire un possibile effetto protettivo in tal senso.
Ma ci sono altre domande ancora senza risposta. Per esempio, in un paziente con una sovrainfezione, è possibile che i due virus si ricombinino dando vita a un virus più adatto? E ancora: nei due virus potrebbe verificarsi una ricombinazione delle mutazioni di resistenza che dia origine a una multiresistenza alle terapia? Al momento, le risposte a questi quesiti non ci sono.
K. Ronen, et al. Detection of frequent superinfection among Kenyan women using ultra-deep pyrosequencing. CROI 2012; abstract 59LB.
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Lo ha spiegato Keshet Ronen, del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle, presentando i risultati di uno studio epidemiologico su donne keniote in occasione della Conferenza annuale sui retrovirus e le infezioni opportunistiche (CROI), terminata pochi giorni fa a Seattle.
Resta ancora da chiarire, ha detto l’autrice, è se il fenomeno abbia un effetto clinico e che ruolo possa avere la risposta immunitaria all’infezione iniziale in quella successiva.
Durante la sua presentazione la Ronen ha anche spiegato che il fenomeno è già stato osservato in precedenza, ma finora è stato difficile arrivare a stime precise sulla sua frequenza.
Per colmare questo divario, i ricercatori hanno analizzato una coorte di circa 2.700 donne lavoratrici di Mombasa, in Kenya, di cui circa 300 sieropositive, utilizzando una nuova tecnica di sequenziamento genico, chiamata " pirosequenziamento ultra-profondo", che ha permesso loro di distinguere tra i geni gag, pol e env di diversi ceppi virali.
Applicando questa metodica, gli autori hanno confrontato campioni prelevati entro 6 mesi dalla diagnosi con quelli prelevati più di 2 anni più tardi e in altri momenti intermedi (da uno a tre).
Su 107 donne testate finora, 19 hanno mostrato segni di sovrainfezione, perché avevano un solo ceppo identificabile nel primo campione e due in un momento successivo.
Nell’intera coorte, il rischio annuale di una prima infezione da HIV è risultato di circa 3,25% per 100 persone-anni, mentre nel gruppo di donne sieropositive il rischio di superinfezione è risultato di circa 3,06% per 100 persone-anni. Dunque, non molto diverso.
L’autrice ha avvertito che queste stime vanno considerate preliminari; malgrado ciò secondo Beatrice Hahn, della University of Pennsylvania di Philadelphia, moderatrice della conferenza stampa di presentazione dello studio, i risultati sono importanti per dare le risposte a due domande chiave su questa materia.
La prima è se in un paziente con una sovrainfezione il decorso della malattia sia la stesso o sia diverso rispetto a quello di un paziente con un’infezione singola. Ci sono stati casi documentati di una doppia infezione avvenuta nello stesso momento e in tali casi ci sono evidenze che la malattia sia più aggressiva, ha spiegato la moderatrice.
L'altra questione è se la prima risposta immunitaria al virus, al momento della prima infezione, aiuti o meno a prevenire le infezioni successive. È molto importante sapere fino a che punto una prima risposta immunitaria sia protettiva oppure no, ha detto la Hahn. Lo studio presentato al CROI sembra smentire un possibile effetto protettivo in tal senso.
Ma ci sono altre domande ancora senza risposta. Per esempio, in un paziente con una sovrainfezione, è possibile che i due virus si ricombinino dando vita a un virus più adatto? E ancora: nei due virus potrebbe verificarsi una ricombinazione delle mutazioni di resistenza che dia origine a una multiresistenza alle terapia? Al momento, le risposte a questi quesiti non ci sono.
K. Ronen, et al. Detection of frequent superinfection among Kenyan women using ultra-deep pyrosequencing. CROI 2012; abstract 59LB.
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