Freddie Mercury: 20 anni fa l'addio
Freddie Mercury: 20 anni fa l'addio
Il 24 novembre del 2011 scoccherà l’ora del ventesimo anniversario dalla scomparsa di Freddie Mercury, frontman dei Queen, voce unica e irripetibile. Proprio il 24 novembre del 1991, alle 18.48, a 45 anni di età, Freddie si spegneva vinto dalla grande “peste” degli anni ’80, l’Aids.
La storia narra che il cantante viveva ormai confinato nella sua villa costantemente assediata di giornalisti, attorno a lui un gruppo di cari amici. Jim Hutton, Joe Fanelli e Peter Freestone e poi la ex ragazza Mary Jane Austen.
L’anno precedente era stato intenso, con la pubblicazione di quell’opera d’arte che è “Innuendo”, contenente un sinistro e struggente addio alla vita come “The show must go on”, risultato chiaro nel suo intimo significato solo qualche tempo dopo. La morte era vicina, di lì a 24 ore tutto sarebbe finito.
Freddie era a letto, immobile, incapace ormai quasi di muoversi quando fu chiamato il manager dei Queen, Jim Beach per la compilazione di un comunicato ufficiale da consegnare alla stampa, così da sedarla. Il testo recitava:
“Desidero confermare che sono risultato positivo al virus dell’HIV e di aver contratto l’AIDS. Ho ritenuto opportuno tenere riservata questa informazione fino a questo momento al fine di proteggere la privacy di quanti mi circondano. Tuttavia è arrivato il momento che i miei amici e i miei fan in tutto il mondo conoscano la verità e spero che tutti si uniranno a me, ai dottori che mi seguono e a quelli del mondo intero nella lotta contro questa tremenda malattia”.
Era nato col nome di Faroukh Bulsara a Zanzibar, figlio di un impiegato dell’ufficio statale delle colonie e morì come Freddie Mercury, in una casa da sei milioni di dollari a Londra. Nel mezzo una carriera strepitosa, cominciata nel 1970 e costellata di successi che segneranno per sempre la storia del rock.
Anche Elton John, David Bowie, Michael Jackson intervennero al funerale, una rosa rossa fu adagiata sopra la bara portata al crematorio ovest di Londra in una vecchia Rolls Royce nera con fiori sul tetto. Fiori inviati da ogni parte del mondo ricoprirono centinaia di metri quadrati di terra. In seguito furono distribuiti a ospedali e ospizi.
Nessuno sa con certezza cosa fu delle ceneri di Freddie. Alcuni sostengono che Mary abbia conservato l’urna, altri pensano che fu riportato a Zanzibar, e altri ancora che furono sparse su un cimitero a sud di Londra. C’è anche chi sostiene che le sue ceneri furono liberate sul Lago di Ginevra, a Montreux, in Svizzera. I Queen avevano realizzato lì uno studio di registrazione e Freddie amava molto il posto, dove peraltro è stata innalzata una statua che lo ricorda.
Freddie era la prima stella a morire di Aids. Quella chiamata all’impegno che lanciò nel comunicato che ne precedeva la morte, fu raccolto a piene mani pochi mesi dopo, nell’aprile del 1992, quando nel glorioso stadio di Wembley si svolse il “Freddie Mercury Tribute Concert”, che in un tripudio di spillette rosse, portò 500 mila persone al di là della transenna, e sul palco ogni volto del firmamento musicale del tempo, da Tony Iommi ai Guns n’ Roses a Roger Daltrey e George Michael, e poi i Metallica, Annie Lennox, gli Extreme, David Bowie e Robert Plant e soprattutto, gli amici Liza Minnelli ed Elton John. Inevitabile dire che alla scomparsa del mito, la casa editrice ha raschiato il barile e George Michael, con dubbie fortune, ha tentato di sostituirlo, cosa riuscita almeno per le tendenze sessuali, ma a livello di capacità canore, il divario era incolmabile. Col passare degli anni, sono sorti e tramontati, illustri sconosciuti con la voce acuta e le movenze un po’ femminili che non avevano assolutamente niente a che fare con Mercury, che era tutto tranne che una “checca” e soprattutto, sì i toni alti, ma mancavano di quel paio di ottave nei bassi, che fanno la differenza.
Nel 2005 poi, con Paul Rodgers, ex leader dei “Free”, i residui dei Queen, Brian May e Roger Taylor con il bassista John Deacon ormai ritirato a vita agreste, si esibirono in un tour. E piovvero le critiche ma si scelse anche, invece di “citare” l’opera omnia di Mercury, “Bohemian Rapsody”, di proiettarla da un live originale.
E tanti, sotto il palco, piansero.
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La storia narra che il cantante viveva ormai confinato nella sua villa costantemente assediata di giornalisti, attorno a lui un gruppo di cari amici. Jim Hutton, Joe Fanelli e Peter Freestone e poi la ex ragazza Mary Jane Austen.
L’anno precedente era stato intenso, con la pubblicazione di quell’opera d’arte che è “Innuendo”, contenente un sinistro e struggente addio alla vita come “The show must go on”, risultato chiaro nel suo intimo significato solo qualche tempo dopo. La morte era vicina, di lì a 24 ore tutto sarebbe finito.
Freddie era a letto, immobile, incapace ormai quasi di muoversi quando fu chiamato il manager dei Queen, Jim Beach per la compilazione di un comunicato ufficiale da consegnare alla stampa, così da sedarla. Il testo recitava:
“Desidero confermare che sono risultato positivo al virus dell’HIV e di aver contratto l’AIDS. Ho ritenuto opportuno tenere riservata questa informazione fino a questo momento al fine di proteggere la privacy di quanti mi circondano. Tuttavia è arrivato il momento che i miei amici e i miei fan in tutto il mondo conoscano la verità e spero che tutti si uniranno a me, ai dottori che mi seguono e a quelli del mondo intero nella lotta contro questa tremenda malattia”.
Era nato col nome di Faroukh Bulsara a Zanzibar, figlio di un impiegato dell’ufficio statale delle colonie e morì come Freddie Mercury, in una casa da sei milioni di dollari a Londra. Nel mezzo una carriera strepitosa, cominciata nel 1970 e costellata di successi che segneranno per sempre la storia del rock.
Anche Elton John, David Bowie, Michael Jackson intervennero al funerale, una rosa rossa fu adagiata sopra la bara portata al crematorio ovest di Londra in una vecchia Rolls Royce nera con fiori sul tetto. Fiori inviati da ogni parte del mondo ricoprirono centinaia di metri quadrati di terra. In seguito furono distribuiti a ospedali e ospizi.
Nessuno sa con certezza cosa fu delle ceneri di Freddie. Alcuni sostengono che Mary abbia conservato l’urna, altri pensano che fu riportato a Zanzibar, e altri ancora che furono sparse su un cimitero a sud di Londra. C’è anche chi sostiene che le sue ceneri furono liberate sul Lago di Ginevra, a Montreux, in Svizzera. I Queen avevano realizzato lì uno studio di registrazione e Freddie amava molto il posto, dove peraltro è stata innalzata una statua che lo ricorda.
Freddie era la prima stella a morire di Aids. Quella chiamata all’impegno che lanciò nel comunicato che ne precedeva la morte, fu raccolto a piene mani pochi mesi dopo, nell’aprile del 1992, quando nel glorioso stadio di Wembley si svolse il “Freddie Mercury Tribute Concert”, che in un tripudio di spillette rosse, portò 500 mila persone al di là della transenna, e sul palco ogni volto del firmamento musicale del tempo, da Tony Iommi ai Guns n’ Roses a Roger Daltrey e George Michael, e poi i Metallica, Annie Lennox, gli Extreme, David Bowie e Robert Plant e soprattutto, gli amici Liza Minnelli ed Elton John. Inevitabile dire che alla scomparsa del mito, la casa editrice ha raschiato il barile e George Michael, con dubbie fortune, ha tentato di sostituirlo, cosa riuscita almeno per le tendenze sessuali, ma a livello di capacità canore, il divario era incolmabile. Col passare degli anni, sono sorti e tramontati, illustri sconosciuti con la voce acuta e le movenze un po’ femminili che non avevano assolutamente niente a che fare con Mercury, che era tutto tranne che una “checca” e soprattutto, sì i toni alti, ma mancavano di quel paio di ottave nei bassi, che fanno la differenza.
Nel 2005 poi, con Paul Rodgers, ex leader dei “Free”, i residui dei Queen, Brian May e Roger Taylor con il bassista John Deacon ormai ritirato a vita agreste, si esibirono in un tour. E piovvero le critiche ma si scelse anche, invece di “citare” l’opera omnia di Mercury, “Bohemian Rapsody”, di proiettarla da un live originale.
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