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A che punto siamo nella lotta contro l’HIV
Pubblicato da Redazione SI – 30 novembre 2010 – 15:42
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Enrico Tagliaferri

L’accesso alla terapia è notevolmente aumentato in un tempo relativamente breve, soprattutto in Africa, ma è ancora drammaticamente negato alla maggior parte dei malati.
Secondo le ultime stime 33,4 milioni di persone nel mondo vivono con l’infezione da HIV e nel 2008 ci sono state 2,7 milioni di nuove infezioni[1]. Rispetto al picco dell’epidemia il numero dei nuovi casi di infezione è diminuito, ma sembra stabilizzarsi negli ultimissimi anni; la mortalità è nettamente diminuita, con conseguente incremento del numero di persone che convivono con l’infezione (Figura 1)[2].


Figura 1. Andamento di incidenza, prevalenza e mortalità dell’infezione da HIV


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Da: The Millennium Development Goals Report 2010.

L’andamento dell’epidemia presenta differenze significative nelle diverse aree geografiche, ma l’Africa è ancora di gran lunga la regione più colpita.
È aumentato il numero di persone che si sottopongono al test diagnostico, ma nonostante ciò è stato stimato che in Africa Sub Sahariana meno del 40% degli HIV positivi è a conoscenza del proprio status[3].
L’accesso alla terapia è notevolmente aumentato in un tempo relativamente breve, soprattutto in Africa, ma è ancora drammaticamente negato alla maggior parte dei malati: si stima che nei paesi a medio e basso reddito i pazienti adulti in trattamento fossero il 28% nel 2008 e il 36% nel 2009, calcolando la percentuale sul totale dei pazienti considerati eligibili per il trattamento secondo le linee guida attuali. Ancora peggiore la situazione per i bambini: solo il 28% dei bambini che ne avevano bisogno assumeva i farmaci nel 2009[4].

Le donne sieropositive in gravidanza che hanno avuto accesso al trattamento per prevenire la trasmissione dell’infezione al bambino sono state il 45% nel 2008 e il 53% nel 2009[5].

Da notare che dopo un anno dall’inizio del trattamento, nei paesi a medio e basso reddito, l’82% dei pazienti assumeva ancora regolarmente i farmaci, un’aderenza alla terapia almeno paragonabile a quella dei paesi ad alto reddito[6].

La tubercolosi si conferma una delle principali co-patologie, eppure solo il 22% dei casi di TB nel 2009 è stato sottoposto al test per HIV[7].

In molti paesi esistono barriere giuridiche, sociali e culturali che ostacolano l’accesso ai servizi sanitari di omosessuali, prostitute, transessuali e tossicodipendenti. La rimozione di queste barriere è una questione di civiltà oltre che di salute pubblica.

L’epidemiologia italiana presenta caratteristiche in linea con la maggior parte dei paesi ricchi. Le stime più recenti indicano che in Italia vivono attualmente 170.000-180.000 persone HIV positive, di cui circa 22.000 notificate per AIDS. Un sieropositivo su quattro non sa di essere infetto.
Il numero di nuove infezioni è diminuito notevolmente negli anni ’90 per stabilizzarsi negli ultimi 10 anni, circa 4.000 all’anno, probabilmente a causa di una diminuzione dell’attenzione da parte dell’opinione pubblica, dei media e delle campagne di prevenzione. Inoltre, grazie alle terapie, il numero di pazienti che sviluppa l’AIDS e muore è diminuito nettamente, con conseguente incremento del numero dei sieropositivi viventi. La principale via di trasmissione è rappresentata dai contatti eterosessuali non protetti, che non vengono sufficientemente percepiti come a rischio, in particolare dalle persone di età matura, che spesso si presentano ai servizi sanitari già in fase di avanzata immunodepressione. Ancora rilevante è la trasmissione tra gli omosessuali mentre i casi di infezione tra i tossicodipendenti sono in netta diminuzione e la trasmissione per altre vie è trascurabile. In altre parole si tratta di una patologia sempre meno ascrivibile a ben identificate categorie a rischio. In Italia l’infezione da HIV è un fenomeno rilevante che prende sempre più la forma di malattia cronica, gestita soprattutto in regime ambulatoriale, con grande impegno dei servizi sanitari, in termini di risorse umane e finanziarie[8].
Considerato che sono sempre più i pazienti che convivono per lungo tempo con l’infezione, pazienti spesso anziani, affetti anche da altre patologie, in terapia con altri farmaci, la loro assistenza non può essere meramente delegata ai reparti di Malattie Infettive, i medici di base devono acquisire sempre maggiore familiarità con la patologia e le complicanze, le manifestazioni cliniche, la terapia e le interazioni con gli altri farmaci.

Sul fronte della prevenzione, non esiste la prospettiva concreta di avere un vaccino preventivo efficace nei prossimi anni.

Esiste sempre maggiore evidenza scientifica che la terapia antiretrovirale è in grado di ridurre il rischio di trasmissione dell’HIV. La spiegazione sta nel fatto che la quantità di virus nel sangue è il principale determinante del rischio di trasmissione[9] e la terapia riduce la carica virale a valori indosabili nella maggior parte dei pazienti entro 6 mesi nel siero[10], nello sperma e nel secreto vaginale[11,12]. Per lo stesso motivo la terapia somministrata alle donne gravide previene la trasmissione durante la gravidanza e il parto[13].
Uno studio pubblicato recentemente su The Lancet descrive l’impatto della terapia sulla trasmissione dell’infezione nelle cosiddette coppie discordanti, cioè in cui uno solo dei partner è infetto. Lo studio ha seguito per due anni, in vari paesi africani, circa 3.400 coppie in cui uno dei due partner era positivo per HIV e HSV 2, ma non necessitava della terapia all’inizio dello studio. Di questi, 349 (10%) hanno iniziato la terapia in seguito, secondo le linee guida nazionali. In tutto si sono verificati 103 casi di trasmissione, cifra tutt’altro che trascurabile, di cui uno soltanto da un paziente in trattamento: una differenza clamorosa. Il rischio di trasmissione è risultato associato ad un livello di linfociti CD4, le cellule più colpite dall’HIV, inferiore a 200 cellule/µl, e ad una viremia superiore alle 50.000 copie/ml.

La terapia comunque, non azzera il rischio di trasmissione e non esime da effettuare costantemente un counselling accurato dei pazienti e raccomandare loro l’adozione di altre misure preventive, prima di tutto l’uso del profilattico. La Figura 2 illustra uno studio condotto in coppie discordanti omosessuali e dimostra come la terapia insieme ad un uso corretto del profilattico, nessuna delle due cose da sola, siano risultati in grado di azzerare il rischio di trasmissione.
Figura 2. Rischio di trasmissione per 100 rapporti sessuali in coppie discordanti omosessuali maschili


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Da: Wilson DP, Law MG, Grulich AE, Cooper DA, Kaldor JM. Relation between HIV viral load and infectiousness: a model-based analysis. Lancet 2008; 372: 314–20.

Quello delle coppie discordanti è un fenomeno molto diffuso in Africa, si tratta di numeri enormi. In uno studio condotto recentemente in Uganda, ad esempio, il 5% di tutte le coppie è risultato discordante, mentre nel 3% ambedue i partner sono risultati positivi[14]. Chi ne fa le spese è soprattutto la donna, che spesso non ha il potere di rifiutare il rapporto sessuale né di imporre l’uso del profilattico[15]. Pur ammettendo che il profilattico è solo uno degli strumenti della prevenzione (vedi post Sulla prevenzione dell’infezione da HIV/AIDS: quanto contano A, B e C? del 2 agosto 2009), almeno per le coppie discordanti è sicuramente il più importante.
Speriamo che le recenti, molto caute e ancora insufficienti aperture del Papa sull’uso del profilattico preludano ad un ripensamento delle tradizionali posizioni della Chiesa Cattolica[16-19].

Recentemente, è stata dimostrata la parziale efficacia di un gel vaginale a base di tenofovir. Le donne che lo hanno impiegato correttamente e costantemente hanno dimezzato il rischio di infezione: 5,6 nuove infezioni su 100 donne all’anno contro 9,1 infezioni tra le donne che hanno impiegato il placebo[20]. Non può essere considerata un’alternativa al profilattico, ben più efficace, ma ha il vantaggio di essere una misura gestita dalla donna.

La circoncisione maschile è ormai riconosciuta anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come un mezzo per ridurre il rischio di trasmissione e in alcuni paesi dell’Africa Sub Sahariana viene praticata nell’ambito dei servizi sanitari nazionali[21].

La sicurezza delle emotrasfusioni nei paesi con basse risorse rimane un punto dolente: solo il 48 % del sangue donato è stato appropriatamente controllato per HIV nel 2009[22].

Un vaccino terapeutico basato sulla proteina virale tat, attualmente in fase di sperimentazione in Italia, sembra efficace nell’aumentare la risposta immunitaria verso l’HIV e aumentare i linfociti CD4, soprattutto nei pazienti in stato di malattia più avanzato. Si tratta di dati preliminari e i risultati dovranno essere valutati anche alla luce degli enormi investimenti. Comunque potrebbe essere uno strumento in grado di aumentare l’efficacia della terapia, non sostituirla, né prevenire l’infezione[23].

Visto che un vaccino preventivo non sarà disponibile a breve, alcuni autori si sono spinti ad immaginare di effettuare il test a tappeto e trattare tutti i pazienti HIV positivi, a prescindere dal loro stato immunitario, per stroncare l’epidemia (vedi post Screening di massa per l’HIV del 14 aprile 2010). Si tratta di modelli teorici interessanti, ma poco realistici se si pensa che nei paesi a basso e medio reddito siamo ancora lontani dall’assicurare i farmaci a coloro che ne hanno urgente bisogno.
Ancora oggi, in molti paesi poveri, la decisione di iniziare il trattamento viene presa in base a criteri esclusivamente clinici, in altre parole viene proposto a coloro che già presentano i segni e i sintomi delle complicanze, conseguenza di uno stato avanzato di malattia e immunodepressione.
Nei paesi ricchi, invece, il dosaggio periodico dei linfociti CD4 e della viremia permettono di iniziare il trattamento prima che il paziente sviluppi le complicanze.

Le linee guida cliniche più recenti non solo propongono criteri immuno-virologici che spingono ad un trattamento più precoce, ma menzionano specificamente la convivenza con un partner siero-negativo come ulteriore elemento a favore dell’inizio della terapia[24].

Anche le più recenti indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) vanno in questo senso: iniziare il trattamento al disotto dei 350 CD4/mmc o in stadio clinico 3 o 4 secondo la classificazione OMS, impiegare farmaci meno tossici sia in prima che in seconda linea, offrire il trattamento a tutti i pazienti con malattia tubercolare, migliorare diagnosi e monitoraggio dell’epatite cronica da HBV, che può essere trattata con i medesimi farmaci impiegati per l’HIV, estendere il test per la misurazione della carica virale per monitorare l’efficacia della terapia[25].

L’imperativo immediato è assicurare il trattamento a tutti coloro che ne hanno urgente bisogno, secondo criteri semplici e facilmente applicabili in ogni contesto, ed è un risultato ancora lontano da raggiungere e consolidare.
In prospettiva però, si deve mirare a uniformare gli standard di cura, rendere disponibile prima di tutto il dosaggio dei linfociti CD4 e quindi quello della viremia, per impostare la terapia secondo un approccio informato, individualizzato, sempre più inclusivo, cioè iniziare la terapia più precocemente, anche per evitare nuove infezioni, utilizzando farmaci sempre meglio tollerati. Per ottenere questo ci sarà bisogno di un enorme sforzo in termini di personale, infrastrutture, risorse finanziarie e formazione per rafforzare sistemi sanitari già sotto pressione, ma questa è la direzione.

Negli ultimi anni i fondi destinati ai programmi per la lotta all’HIV sono andati aumentando fino a tempi più recenti, ma la crisi economica globale può mettere a rischio il futuro finanziamento dei programmi[26].

Già quest’anno il Fondo Globale per la lotta ad AIDS, Tubercolosi e Malaria o Global Fund, uno dei principali finanziatori dei programmi sanitari rivolti all’HIV, ha drasticamente ridotto il proprio contributo[27]. È preoccupante che alcuni paesi africani fortemente colpiti dall’HIV abbiano dovuto ridurre i finanziamenti per acquistare i farmaci antiretrovirali e rendere disponibile il trattamento, a causa della crisi. Assicurare finanziamenti adeguati è una condizione necessaria per consolidare e migliorare i risultati sin qui ottenuti.

Tutti i malati del mondo hanno gli stessi diritti.

Enrico Tagliaferri. Infettivologo. Azienda Ospedaliera di Pisa.

Bibliografia
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The Millennium Development Goals Report 2010
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Quinn TC, Wawer MJ, Sewankambo N, et al. Viral load and heterosexual transmission of human immunodefi ciency virus type 1. Rakai Project Study Group. N Engl J Med 2000; 342: 921–29.
Phillips AN, Staszewski S, Weber R, et al. HIV viral load response to antiretroviral therapy according to the baseline CD4 cell count and viral load. JAMA 2001; 286: 2560–67
Graham SM, Holte SE, Peshu NM, et al. Initiation of antiretroviral therapy leads to a rapid decline in cervical and vaginal HIV-1 shedding. AIDS 2007; 21: 501–07.
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Intervento di Michel Zakatchkine, Direttore esecutivo del Fondo globale per la lotta contro l’HIV/AIDS, la tubercolosi e la malaria, Cáceres, Spagna, 31 marzo 2009.
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