L'Hiv Aids torna a colpire Varese Anche tra i giovani e a scuola
L'Hiv Aids torna a colpire Varese Anche tra i giovani e a scuola
VARESE Vietato abbassare la guardia perché in provincia di Varese, l'hiv è tornato a colpire e, fra le persone contagiate dal virus, ci sono anche diversi giovanissimi.
A lanciare l'allarme è una ricerca diffusa dall'Istituto superiore di sanità secondo la quale dal 1985, quando scoppiò l'epidemia, fino a oggi, in provincia di Varese si sono verificati più di 1.800 casi.
Ritmi che in Lombardia, la regione dove si registra il maggior numero di casi in Italia, collocano Varese al terzo posto fra le province più colpite, preceduta solo da Milano (8.373 casi) e Brescia (2.456). Con un tasso di incidenza, ovvero un rapporto fra la popolazione e il numero di nuovi casi notificati nel 2010, del 2,3%, di poco inferiore rispetto alla media delle province lombarde più popolose.
«Ultimamente c'è stato un calo dell'attenzione verso il fenomeno - spiega il professor Paolo Grossi, infettivologo e primario dell'ospedale di Circolo - e questo ha portato a una ripresa di vigore del virus e a una crescita dei nuovi casi. La diffusione dell'hiv è ancora lontana da essere sotto controllo - continua - e in ospedale continuano ad arrivare nuovi casi di persone che hanno contratto il virus».
«A volte sono giovanissimi - continua - Studenti delle scuole superiori contagiati a causa di rapporti non protetti, proprio negli anni in cui iniziano l'attività sessuale. Si tratta di un fenomeno preoccupante, perché indica che si è abbassata la guardia sulle attività di prevenzione. Oramai di Aids non si muore più e una persona sieropositiva, seguendo le giuste terapie, può condurre una vita normale - sottolinea - Nonostante questo la diffusione del virus rimane un grave problema».
Secondo gli ultimi dati solo all'ospedale di Circolo di Varese in due anni, dal 2009 al 2011, sono state fatte 55 nuove diagnosi di infezione da Hiv. Fra questi solo 14 femmine e 41 maschi, in buona parte omosessuali. L'età media è di 40 anni, più alta rispetto a quella degli anni '80 e '90, e circa un quarto di loro sono stranieri.
Immigrati, provenienti in particolare dall'Africa, che sono arrivati a Varese già sieropositivi o hanno contratto l'Hiv in Italia. E ogni paziente in cura costa all'ospedale circa diecimila euro all'anno. Si tratta però solo di dati indicativi, ai quali vanno aggiunti i casi sommersi. Molti sieropositivi infatti non sanno di esserlo, e l'infezione viene alla luce quando si presentano in ospedale con patologie legate all'Hiv. Secondo gli esperti il 25% dei nuovi infetti è inconsapevole, e quindi non si cura e continua a contagiare.
«Sono cambiate le modalità della trasmissione del virus - continua il professor Grossi - e si è ridotto a zero il fenomeno del contagio fra tossicodipendenti attraverso lo scambio di siringhe, perché sono cambiati i modi di assunzione delle droghe. Ora la trasmissione è quasi sempre per via sessuale - sottolinea - Attraverso rapporti non protetti e anche a causa del fenomeno della prostituzione».
«Non siamo più ai livelli degli anni '90, quando l'Hiv era una pestilenza, ma il problema resta e ha anche un costo enorme per la collettività - spiega - ad esempio in Lombardia si spendono ogni anno circa 200 milioni di euro per le cure. Nella commissione regionale della quale faccio parte abbiamo iniziato uno studio per capire su quali fasce della popolazione intervenire con le attività di prevenzione - conclude - che secondo me in questo momento andrebbero concentrate in particolare sui giovani in età scolare».
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A lanciare l'allarme è una ricerca diffusa dall'Istituto superiore di sanità secondo la quale dal 1985, quando scoppiò l'epidemia, fino a oggi, in provincia di Varese si sono verificati più di 1.800 casi.
Ritmi che in Lombardia, la regione dove si registra il maggior numero di casi in Italia, collocano Varese al terzo posto fra le province più colpite, preceduta solo da Milano (8.373 casi) e Brescia (2.456). Con un tasso di incidenza, ovvero un rapporto fra la popolazione e il numero di nuovi casi notificati nel 2010, del 2,3%, di poco inferiore rispetto alla media delle province lombarde più popolose.
«Ultimamente c'è stato un calo dell'attenzione verso il fenomeno - spiega il professor Paolo Grossi, infettivologo e primario dell'ospedale di Circolo - e questo ha portato a una ripresa di vigore del virus e a una crescita dei nuovi casi. La diffusione dell'hiv è ancora lontana da essere sotto controllo - continua - e in ospedale continuano ad arrivare nuovi casi di persone che hanno contratto il virus».
«A volte sono giovanissimi - continua - Studenti delle scuole superiori contagiati a causa di rapporti non protetti, proprio negli anni in cui iniziano l'attività sessuale. Si tratta di un fenomeno preoccupante, perché indica che si è abbassata la guardia sulle attività di prevenzione. Oramai di Aids non si muore più e una persona sieropositiva, seguendo le giuste terapie, può condurre una vita normale - sottolinea - Nonostante questo la diffusione del virus rimane un grave problema».
Secondo gli ultimi dati solo all'ospedale di Circolo di Varese in due anni, dal 2009 al 2011, sono state fatte 55 nuove diagnosi di infezione da Hiv. Fra questi solo 14 femmine e 41 maschi, in buona parte omosessuali. L'età media è di 40 anni, più alta rispetto a quella degli anni '80 e '90, e circa un quarto di loro sono stranieri.
Immigrati, provenienti in particolare dall'Africa, che sono arrivati a Varese già sieropositivi o hanno contratto l'Hiv in Italia. E ogni paziente in cura costa all'ospedale circa diecimila euro all'anno. Si tratta però solo di dati indicativi, ai quali vanno aggiunti i casi sommersi. Molti sieropositivi infatti non sanno di esserlo, e l'infezione viene alla luce quando si presentano in ospedale con patologie legate all'Hiv. Secondo gli esperti il 25% dei nuovi infetti è inconsapevole, e quindi non si cura e continua a contagiare.
«Sono cambiate le modalità della trasmissione del virus - continua il professor Grossi - e si è ridotto a zero il fenomeno del contagio fra tossicodipendenti attraverso lo scambio di siringhe, perché sono cambiati i modi di assunzione delle droghe. Ora la trasmissione è quasi sempre per via sessuale - sottolinea - Attraverso rapporti non protetti e anche a causa del fenomeno della prostituzione».
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