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Tubercolosi: dal contagio alla malattia

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Messaggio Da Gex Lun 17 Ott - 8:12

È di pochi giorni fa la buona notizia. Per la prima volta nella storia della tubercolosi c’è stata una diminuzione dei casi di contagio e di mortalità. Il dato arriva direttamente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, ma non indica di certo una vittoria definitiva contro la malattia. Ancora troppe le vittime ed i pazienti, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, mentre, come abbiamo avuto modo di notare con i fatti accaduti a Roma (infermiera del Policlinico A. Gemelli ed insegnante di scuola elementare) la tbc continua ad imperversare silenziosamente anche nelle grandi città italiane.

L’attenzione della cronaca alla tubercolosi ha creato però grandi ansie, dovute alla confusione circa le numerose notizie arrivate giorno dopo giorno: vaccino che non funziona, test con falsi positivi e negativi, contagiati, ma non malati… Anche per chi come noi quotidianamente è a contatto con questi argomenti, non è stato facile risalire al bandolo della matassa. Di fatto non ci sono state informazioni errate: sono i mezzi che la scienza ha a disposizione per contrastare la tubercolosi (o tisi) che sono ancora quelli del secolo scorso. Il bacillo di Kock che provoca la malattia infatti, pur essendo coltivabile in vitro per essere testato ed analizzato, ha caratteristiche tali (come l’estrema lentezza nel riprodursi) che impediscono di trovare un vaccino o un test efficaci a livello globale. Cerchiamo allora di rispondere a qualche dubbio
Come avviene il contagio della tubercolosi?

Il contagio del bacillo di Kock o tubercolare avviene da persona malata a sana, attraverso starnuti, o colpi di tosse: ma non sempre. Possono trasmettere la malattia solo le persone affette da tubercolosi bacillifera attiva (o aperta), cioè ammalati e non semplicemente contagiati; la carica batterica deve essere alta e scarso il ricambio d’aria ambientale. Il contagio può avvenire solo da pazienti non in terapia e solo se affetti da tubercolosi polmonare o della laringe (esistono infatti diversi tipi di tubercolosi, in base agli organi colpiti). I bacilli devono essere inalati direttamente dalla persona sana, una stretta di mano non comporta rischi e neppure un unico colpo di tosse in un locale affollato può contagiare più di una persona. La percentuale di rischio di contagio da paziente non in trattamento è più alta ovviamente per i familiari (o i colleghi di lavoro) che sono esposti ad eventuali bacilli liberati nell’aria per più ore e giorni. Una particolarità: i bambini vengono contagiati solo da adulti malati. Non sono tra loro contagiosi.
Contagiato dalla tbc, ma non malato di tubercolosi, quale è la differenza?

Si è lungamente detto che tutti i bambini contagiati dall’infermiera (e poi dall’insegnante) non sono malati, fatta eccezione di una neonata. Ma che significa? In caso di infezione l’organismo degli individui attiva sempre il sistema immunitario. Anche in questo caso gli anticorpi fanno il loro dovere, impedendo la crescita dei bacilli e la loro ulteriore diffusione in altri organi. Il bacillo di Kock non viene distrutto, ma rimane latente, addormentato, o meglio imprigionato: è inattivo ed innocuo. Può rimanere così per mesi, anni o per sempre. Nel 90% dei casi non si riattiva mai. Questa condizione, che da positività ai test, indica cioè la presenza del bacillo, si chiama “infezione tubercolare”. Non c’è malattia, ne sintomi e soprattutto non si è contagiosi. Come nei casi citati. Rimane però il rischio di sviluppare la malattia laddove si assista ad un serio abbassamento delle difese immunitarie. Avviene nel restante 10% dei casi. Per questo è fondamentale effettuare la profilassi.

Chi è più a rischio di essere contagiato e di ammalarsi di tubercolosi?

Ovviamente chi si trova nelle condizioni di cui sopra (familiari di paziente affetto da tubercolosi attiva o anche gli operatori sanitari) è esposto ad una maggiore percentuale di rischio contagio. Ma per lo sviluppo della malattia sono invece da tenere presenti tutte quelle persone con un sistema immunitario debole, come nel caso dei bambini (neonati ancora di più) e delle persone anziane, ma anche diabetici, pazienti trattati con farmaci immunosoppressori o alte dosi di cortisone, tossicodipendenti e pazienti affetti da deficit del sistema immunitario generale (come nel caso dell’hiv/aids).

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