Diminuisce il rischio di trasmissione dell’Aids
Diminuisce il rischio di trasmissione dell’Aids
A 15 anni dalla messa a punto della terapia di combinazione, la lotta all’Aids sta per compiere un ulteriore straordinario passo avanti.
Un impiego anticipato dei farmaci antiretrovirali permetterebbe di abbattere la carica virale delle persone infette, ridurre la quantità complessiva di virus circolante all’interno delle comunità e diminuire drasticamente il rischio di trasmissione del virus. L’argomento, supportato da diversi studi, è stato ampiamente dibattuto a Roma alla Sesta Conferenza internazionale Ias 2011, il più importante appuntamento scientifico a livello mondiale dedicato all’Aids. Circa 7mila i partecipanti, da oltre 120 Paesi, chiamati a confrontarsi, a 30 anni esatti dall’inizio dell’epidemia. «Grazie ai farmaci siamo stati in grado di cronicizzare l’infezione, ma la partita è ancora aperta», spiega Stefano Vella, direttore del dipartimento del farmaco all’Istituto Superiore di Sanità, co-chairman di Ias 2011 e componente del comitato coordinatore. Sono circa 33milioni le persone che oggi nel mondo convivono con il virus e oltre 25milioni quelle che hanno perso la vita a causa dell’Aids. In Italia la cifra è stimata intorno alle 150-170mila persone Hiv positive e più di 22mila i malati di Aids.
«Prevenzione, terapia e accesso alle cure vanno pensate insieme e insieme declinate. Si è visto che con la diffusione dell’accesso alle cure, la terapia precoce è parte integrante della prevenzione. Una persona trattata con i farmaci, la cui carica virale è azzerata, non infetta gli altri. E l’efficacia della terapia sul singolo individuo si trasforma in un’efficacia estesa socialmente». Punto critico resta la scarsa consapevolezza dell’infezione. I dati indicano che in Italia, ma anche in tutta Europa, oltre il 50 per cento delle persone apprende di essere sieropositivo nello stesso momento in cui apprende di avere l’Aids. I contagi avvengo per lo più (80 per cento) per via sessuale, tra eterosessuali. «Se il paziente arriva alla diagnosi abbastanza precocemente, non dovrebbe più morire di Aids», afferma Giuliano Rizzardini, direttore del dipartimento malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano.
Allo Ias sono stati presentati nuovi e incoraggianti dati di efficacia e tollerabilità a lungo termine (5 anni) di raltegravir (capostipite degli inibitori dell’integrasi), nella terapia di combinazione.
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Un impiego anticipato dei farmaci antiretrovirali permetterebbe di abbattere la carica virale delle persone infette, ridurre la quantità complessiva di virus circolante all’interno delle comunità e diminuire drasticamente il rischio di trasmissione del virus. L’argomento, supportato da diversi studi, è stato ampiamente dibattuto a Roma alla Sesta Conferenza internazionale Ias 2011, il più importante appuntamento scientifico a livello mondiale dedicato all’Aids. Circa 7mila i partecipanti, da oltre 120 Paesi, chiamati a confrontarsi, a 30 anni esatti dall’inizio dell’epidemia. «Grazie ai farmaci siamo stati in grado di cronicizzare l’infezione, ma la partita è ancora aperta», spiega Stefano Vella, direttore del dipartimento del farmaco all’Istituto Superiore di Sanità, co-chairman di Ias 2011 e componente del comitato coordinatore. Sono circa 33milioni le persone che oggi nel mondo convivono con il virus e oltre 25milioni quelle che hanno perso la vita a causa dell’Aids. In Italia la cifra è stimata intorno alle 150-170mila persone Hiv positive e più di 22mila i malati di Aids.
«Prevenzione, terapia e accesso alle cure vanno pensate insieme e insieme declinate. Si è visto che con la diffusione dell’accesso alle cure, la terapia precoce è parte integrante della prevenzione. Una persona trattata con i farmaci, la cui carica virale è azzerata, non infetta gli altri. E l’efficacia della terapia sul singolo individuo si trasforma in un’efficacia estesa socialmente». Punto critico resta la scarsa consapevolezza dell’infezione. I dati indicano che in Italia, ma anche in tutta Europa, oltre il 50 per cento delle persone apprende di essere sieropositivo nello stesso momento in cui apprende di avere l’Aids. I contagi avvengo per lo più (80 per cento) per via sessuale, tra eterosessuali. «Se il paziente arriva alla diagnosi abbastanza precocemente, non dovrebbe più morire di Aids», afferma Giuliano Rizzardini, direttore del dipartimento malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano.
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