Mimare la proteina Tat
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Mimare la proteina Tat
L’idea è di Marco Sgarbanti del reparto di Patogenesi Molecolare del Dipartimento di Malattie Infettive, Parassitarie ed Immunomediate dell’Istituto Superiore di Sanità, che mira a sintetizzare molecole in grado di mimare la proteina Tat, fondamentale nella replicazione del virus Hiv, in modo da 'attirare' il virus per poi distruggere le cellule infette. Grazie a questo progetto all’Istituto è stato conferito il Grand Challenges Explorations Grant, un’iniziativa della Bill & Melinda Gates Foundation (Seattle, Washington, Usa), che finanzia scienziati e ricercatori in tutto il mondo per esplorare idee che possano rompere gli schemi nel modo di risolvere i problemi di salute globale e sviluppo.
Come un cavallo di Troia, la molecola induce il virus ad uscire dal suo stato di latenza e a riprendere la replicazione, che tuttavia non potrà funzionare perché la proteina è un mimetico strutturale, ma non in possesso delle medesime caratteristiche funzionali. Infatti l’infezione da Hiv è caratterizzata dalla presenza del virus sia libero nel sangue, dove di replica velocemente, sia 'nascosto' nelle cellule del sistema immunitario, dove è la replicazione è lenta. Questo comparto è di fatto una 'riserva di virus' ed è la causa principale dell’attuale impossibilità di curare la malattia. L’attivazione del virus induce inoltre una diminuzione dei livelli di glutatione, un’importante molecola antiossidante che aiuta il fegato a disintossicarsi e a prevenire così eventuali danni. Somministrando un farmaco che inibisce ulteriormente la sua produzione, le cellule infette muoiono perché già il loro livello era basso, mentre quelle sane continuano ad avere glutatione sufficiente per sopravvivere.
L’idea di Sgarbanti si pone dunque come una terapia 'shock and kill', ovvero quel tipo di metodologie anti-Hiv che mirano a combattere la latenza del virus per poterlo trattare efficacemente. D’altronde già da diverso tempo è nata l’esigenza di trovare cure diverse da quella attualmente in uso, ovvero la terapia antiretrovirale (Art). Infatti questa previene l’Aids in soggetti con infezione da Hiv, ma i problemi rimangono, come gli effetti tossici collaterali, lo sviluppo di resistenze ai farmaci da parte del virus e gli alti oneri finanziari dovuti alla somministrazione per tutta la vita della terapia stessa. L’interruzione della Art determina inoltre un rapido recupero della carica virale dai serbatoi di cellule latentemente infette.
“La novità del progetto – precisa tuttavia l’ideatore - sta nel fatto che mira a identificare una nuova classe di piccole molecole specificamente progettate per comportarsi come Tat-mimetici”. In questo modo l’effetto potrebbe essere duplice, perché, da un lato si inibirebbe la progressione della malattia, dall’altra si ucciderebbero selettivamente le cellule già infette. La ricerca si svolgerà sia in laboratorio che al computer, dove avverranno simulazioni utili alla selezione di esperimenti potenzialmente efficaci. La comunità scientifica ora attende ansiosa i risultati della ricerca.
Come un cavallo di Troia, la molecola induce il virus ad uscire dal suo stato di latenza e a riprendere la replicazione, che tuttavia non potrà funzionare perché la proteina è un mimetico strutturale, ma non in possesso delle medesime caratteristiche funzionali. Infatti l’infezione da Hiv è caratterizzata dalla presenza del virus sia libero nel sangue, dove di replica velocemente, sia 'nascosto' nelle cellule del sistema immunitario, dove è la replicazione è lenta. Questo comparto è di fatto una 'riserva di virus' ed è la causa principale dell’attuale impossibilità di curare la malattia. L’attivazione del virus induce inoltre una diminuzione dei livelli di glutatione, un’importante molecola antiossidante che aiuta il fegato a disintossicarsi e a prevenire così eventuali danni. Somministrando un farmaco che inibisce ulteriormente la sua produzione, le cellule infette muoiono perché già il loro livello era basso, mentre quelle sane continuano ad avere glutatione sufficiente per sopravvivere.
L’idea di Sgarbanti si pone dunque come una terapia 'shock and kill', ovvero quel tipo di metodologie anti-Hiv che mirano a combattere la latenza del virus per poterlo trattare efficacemente. D’altronde già da diverso tempo è nata l’esigenza di trovare cure diverse da quella attualmente in uso, ovvero la terapia antiretrovirale (Art). Infatti questa previene l’Aids in soggetti con infezione da Hiv, ma i problemi rimangono, come gli effetti tossici collaterali, lo sviluppo di resistenze ai farmaci da parte del virus e gli alti oneri finanziari dovuti alla somministrazione per tutta la vita della terapia stessa. L’interruzione della Art determina inoltre un rapido recupero della carica virale dai serbatoi di cellule latentemente infette.
“La novità del progetto – precisa tuttavia l’ideatore - sta nel fatto che mira a identificare una nuova classe di piccole molecole specificamente progettate per comportarsi come Tat-mimetici”. In questo modo l’effetto potrebbe essere duplice, perché, da un lato si inibirebbe la progressione della malattia, dall’altra si ucciderebbero selettivamente le cellule già infette. La ricerca si svolgerà sia in laboratorio che al computer, dove avverranno simulazioni utili alla selezione di esperimenti potenzialmente efficaci. La comunità scientifica ora attende ansiosa i risultati della ricerca.
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