Plus, la prima associazione di persone lgbt sieropositive
Plus, la prima associazione di persone lgbt sieropositive
E’ nata PLUS, persone lgbt sieropositive ONLUS, una associazione a prevalenza “patient based” il cui impegno è rivolto principalmente alla tutela degli interessi delle persone LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e trans) colpite dall’infezione da HIV.
Perché questa scelta nel già cospicuo panorama delle associazioni di lotta contro l’HIV/AIDS?
L’epidemia da HIV si è sviluppata in modo diverso nelle varie zone del pianeta. Negli Stati Uniti e nel Nord Europa, fin dall’inizio l’infezione ha investito la nostra comunità con tutta la sua forza distruttiva, con tutta la capacità di spaventare sia le persone colpite, sia tutto il resto della società che ha reagito spesso con lo stigma e la discriminazione.
Le comunità locali hanno creato associazioni i cui nomi (Gay Men Health Crisis, Gay Men Fight Aids, ecc.), ci dicono chiaramente quanto importante sia stato il contributo della comunità omosessuale nella lotta contro l’HIV. Al di la delle sigle, buona parte delle associazioni sono state colonizzate da persone omosessuali. Persone impaurite che hanno trovato nel gruppo, nell’associazionismo, la forza per reagire.
In Italia, in parte, le cose sono andate diversamente. HIV, fin dai primi anni, ha investito principalmente le persone tossicodipendenti per via dello scambio di siringhe, e in modo sensibilmente inferiore gli omosessuali maschi.
Oggi, a ormai 30 anni dall’inizio della pandemia, in Italia l’andamento epidemiologico ha preso strade diverse. Anche grazie ad interventi di riduzione del danno mirati ad evitare lo scambio di siringhe ma non solo, le sieroconversioni in area tossicodipendenze sono crollate, mentre è salito, in modo preoccupante, il contagio da trasmissione sessuale nei confronti del quale è stato fatto davvero poco e male.
Sono ormai numerosi gli studi, quali Sialon e Emis, che ci dicono che la comunità omosessuale italiana può vantare una prevalenza di casi di HIV che sfiora il 10%, ma che arriva a superare il 12% nelle maggiori città del Paese quali Milano, Roma o anche Bologna (fonte: Emis, Ungass 23).
A questi valori, molto preoccupanti, si aggiungono i dati dei cosiddetti late presenters, ossia le persone che arrivano alla diagnosi di HIV quando sono ormai prossimi all’Aids, che coprono una elevata percentuale dei 4.000 casi all’anno di nuove sieroconversioni (dati ISS). Si tenga presente secondo ECDC (European Center for Disease Control) una comunità è da considerarsi esposta al rischio se la prevalenza è maggiore del 5%.
Quindi, dopo 30 anni e con un forte ritardo rispetto al resto dell’Europa, la comunità omosessuale italiana, e Arcigay in particolare, si è interrogata sulle migliori vie per affrontare quella che sembra essere, a tutti gli effetti, una crisi che investe la nostra comunità.
PLUS Onlus nasce nel solco tracciato dalle grandi strutture europee “gay-oriented”, in anni più recenti organizzate anche in checkpoint (centri gestiti direttamente dalle comunità più esposte).
PLUS nasce grazie al coraggio di alcuni soci di Arcigay che hanno deciso di accettare la sfida e partecipare a questa nuova avventura, per far si che persone Lgbt sieropositive non siano costrette a scegliere da che parte stare, ma abbiano la possibilità di essere tutelate con competenza e serietà sia come persone Lgbt, sia come sieropositivi.
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Perché questa scelta nel già cospicuo panorama delle associazioni di lotta contro l’HIV/AIDS?
L’epidemia da HIV si è sviluppata in modo diverso nelle varie zone del pianeta. Negli Stati Uniti e nel Nord Europa, fin dall’inizio l’infezione ha investito la nostra comunità con tutta la sua forza distruttiva, con tutta la capacità di spaventare sia le persone colpite, sia tutto il resto della società che ha reagito spesso con lo stigma e la discriminazione.
Le comunità locali hanno creato associazioni i cui nomi (Gay Men Health Crisis, Gay Men Fight Aids, ecc.), ci dicono chiaramente quanto importante sia stato il contributo della comunità omosessuale nella lotta contro l’HIV. Al di la delle sigle, buona parte delle associazioni sono state colonizzate da persone omosessuali. Persone impaurite che hanno trovato nel gruppo, nell’associazionismo, la forza per reagire.
In Italia, in parte, le cose sono andate diversamente. HIV, fin dai primi anni, ha investito principalmente le persone tossicodipendenti per via dello scambio di siringhe, e in modo sensibilmente inferiore gli omosessuali maschi.
Oggi, a ormai 30 anni dall’inizio della pandemia, in Italia l’andamento epidemiologico ha preso strade diverse. Anche grazie ad interventi di riduzione del danno mirati ad evitare lo scambio di siringhe ma non solo, le sieroconversioni in area tossicodipendenze sono crollate, mentre è salito, in modo preoccupante, il contagio da trasmissione sessuale nei confronti del quale è stato fatto davvero poco e male.
Sono ormai numerosi gli studi, quali Sialon e Emis, che ci dicono che la comunità omosessuale italiana può vantare una prevalenza di casi di HIV che sfiora il 10%, ma che arriva a superare il 12% nelle maggiori città del Paese quali Milano, Roma o anche Bologna (fonte: Emis, Ungass 23).
A questi valori, molto preoccupanti, si aggiungono i dati dei cosiddetti late presenters, ossia le persone che arrivano alla diagnosi di HIV quando sono ormai prossimi all’Aids, che coprono una elevata percentuale dei 4.000 casi all’anno di nuove sieroconversioni (dati ISS). Si tenga presente secondo ECDC (European Center for Disease Control) una comunità è da considerarsi esposta al rischio se la prevalenza è maggiore del 5%.
Quindi, dopo 30 anni e con un forte ritardo rispetto al resto dell’Europa, la comunità omosessuale italiana, e Arcigay in particolare, si è interrogata sulle migliori vie per affrontare quella che sembra essere, a tutti gli effetti, una crisi che investe la nostra comunità.
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