Aids. Con monoterapia diminuiscono tossicità e costi. In Lombardia possibili risparmi fino a 22 mln annui
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Aids. Con monoterapia diminuiscono tossicità e costi. In Lombardia possibili risparmi fino a 22 mln annui
E' il risultato di un dossier farmaco-economico del Centro di ricerca in economia e management in Sanità dell’Università Carlo Cattaneo di Castellanza sulla coorte dei 23.700 pazienti Hiv-positivi in trattamento nella Lombardia.
20 OTT - Ci si infetta di meno con l’Hiv rispetto al passato e i progressi terapeutici hanno molto allungato l’aspettativa di vita di chi ne è affetto e migliorato la sua qualità. Le stime 2010 dell’ISS sono di 143.000-165.000 persono viventi con Hiv/Aids e 3.500-4.300 nuove infezioni. La terapia antiretrovirale combinata si è rivelata uno strumento molto efficace, la sua durata per tutto l’arco della vita però pone problemi gestionali, prima di tutto per la tossicità. “Gli effetti collaterali di questi farmaci sono molto diminuiti e non ci sono più i segni della terapia ma con l’uso continuativo insorgono problemi di tossicità cronica che sono differenziati da persona a persona. I pazienti, poi, invecchiando possono avere comorbilità, e ci sono problemi di effetti collaterali più subdoli, per esempio con inibitori nucleosidici quelli a carico dell’osso. La gamma dei farmaci è ampia ma non abbastanza e c’è bisogno di strategie nuove e diverse, anche per una migliore razionalizzazione alla luce del problema dei costi” spiega Massimo Galli, direttore Scuola Specialità in malattie infettive dell’A.O. Luigi Sacco di Milano. La cura antiretrovirale permette anche di ridurre la massa circolante dell’infezione nella popolazione, “è lo strumento migliore della collettività per proteggersi”.
La spesa per gli anti-Hiv però è oggi al secondo posto a livello nazionale dopo quella per gli antitumorali, sia pure a distanza, e si porrà sempre più la sfida di conciliare le prestazioni sanitarie con i finanziamenti . Perciò si studiano nuovi percorsi terapeutici che considerino anche il concetto di sostenibilità in relazione all’efficacia, alla tollerabilità e all’aderenza ai trattamenti. In quest’ottica il CREMS, Centro di ricerca in economia e management in Sanità e nel Sociale dell’Università Carlo Cattaneo di Castellanza, ha realizzato un dossier farmacoeconomico sugli impatti di regimi alternativi (monoterapia) vs terapia standard (combinata), partendo dalla coorte dei 23.700 pazienti Hiv-positivi in trattamento nella Regione Lombardia. Si è prodotto un modello previsionale a un anno e a cinque anni, valutando i possibili soggetti eleggibili a monoterapia, correlando gli sviluppi clinici con i costi totali. Attraverso le sperimentazioni sui regimi monoterapici e la loro implementazione sono valutati risparmi possibili dell’ordine di 10 milioni di euro per arrivare fino a 22,6, in precentuale dal 4 all’8% circa (un malato costa oggi in Lombardia circa 11.000 euro l’anno). Nell'orizzonte a cinque anni si stimano da 37 a 53 milioni di risparmio cumulati negli scenari peggiori, fino ad arrivare a 78 e 123 in quelli più flessibili. Bisognerà analizzare quali risparmi sarebbero possibili su scala nazionale, non potendo estrapolare i dati. Il progetto di sperimentazione clinica al quale ci si è riferiti è lo studio MOLO in corso in Lombardia che coinvolgerà 19 centri.
“L’ipotesi è che alcuni farmaci della classe degli inibitori della proteasi possano garantire per alcuni soggetti un controllo completo anche al di fuori dei classici schemi di combinazione costituiti da tre farmaci: ma la terapia può funzionare bene se i pazienti sono selezionati bene” precisa Giuliano Rizzardini, direttore Dvisione I Malattie infettive A.O. Luigi Sacco di Milano. “Si studiano nuove modalità d’uso dei farmaci anche per favorire l’aderenza alla terapia, cercando strategie di semplificazione, laddove possibile, con regimi semplici e poche somministrazioni quotidiane”. Resta anche un altro importante problema, quello dell’ampia quota di persone che non sa di essere sieropositiva, e non si cura: del totale degli Hiv-positivi, i trattati sono meno di 60.000. “Una persona su quattro che vive in questa condizione oggi non lo sa” sottolinea Galli. “Bisogna favorire la possibilità che le persone facciano il test e il problema è all’attenzione delle autorità sanitarie”. Quanto alla terapia, eventuali risparmi in quei pazienti nei quali si possono semplificare i regimi potrebbero contribuire a curarne altri che oggi sfuggono.
Elettra Vecchia
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20 OTT - Ci si infetta di meno con l’Hiv rispetto al passato e i progressi terapeutici hanno molto allungato l’aspettativa di vita di chi ne è affetto e migliorato la sua qualità. Le stime 2010 dell’ISS sono di 143.000-165.000 persono viventi con Hiv/Aids e 3.500-4.300 nuove infezioni. La terapia antiretrovirale combinata si è rivelata uno strumento molto efficace, la sua durata per tutto l’arco della vita però pone problemi gestionali, prima di tutto per la tossicità. “Gli effetti collaterali di questi farmaci sono molto diminuiti e non ci sono più i segni della terapia ma con l’uso continuativo insorgono problemi di tossicità cronica che sono differenziati da persona a persona. I pazienti, poi, invecchiando possono avere comorbilità, e ci sono problemi di effetti collaterali più subdoli, per esempio con inibitori nucleosidici quelli a carico dell’osso. La gamma dei farmaci è ampia ma non abbastanza e c’è bisogno di strategie nuove e diverse, anche per una migliore razionalizzazione alla luce del problema dei costi” spiega Massimo Galli, direttore Scuola Specialità in malattie infettive dell’A.O. Luigi Sacco di Milano. La cura antiretrovirale permette anche di ridurre la massa circolante dell’infezione nella popolazione, “è lo strumento migliore della collettività per proteggersi”.
La spesa per gli anti-Hiv però è oggi al secondo posto a livello nazionale dopo quella per gli antitumorali, sia pure a distanza, e si porrà sempre più la sfida di conciliare le prestazioni sanitarie con i finanziamenti . Perciò si studiano nuovi percorsi terapeutici che considerino anche il concetto di sostenibilità in relazione all’efficacia, alla tollerabilità e all’aderenza ai trattamenti. In quest’ottica il CREMS, Centro di ricerca in economia e management in Sanità e nel Sociale dell’Università Carlo Cattaneo di Castellanza, ha realizzato un dossier farmacoeconomico sugli impatti di regimi alternativi (monoterapia) vs terapia standard (combinata), partendo dalla coorte dei 23.700 pazienti Hiv-positivi in trattamento nella Regione Lombardia. Si è prodotto un modello previsionale a un anno e a cinque anni, valutando i possibili soggetti eleggibili a monoterapia, correlando gli sviluppi clinici con i costi totali. Attraverso le sperimentazioni sui regimi monoterapici e la loro implementazione sono valutati risparmi possibili dell’ordine di 10 milioni di euro per arrivare fino a 22,6, in precentuale dal 4 all’8% circa (un malato costa oggi in Lombardia circa 11.000 euro l’anno). Nell'orizzonte a cinque anni si stimano da 37 a 53 milioni di risparmio cumulati negli scenari peggiori, fino ad arrivare a 78 e 123 in quelli più flessibili. Bisognerà analizzare quali risparmi sarebbero possibili su scala nazionale, non potendo estrapolare i dati. Il progetto di sperimentazione clinica al quale ci si è riferiti è lo studio MOLO in corso in Lombardia che coinvolgerà 19 centri.
“L’ipotesi è che alcuni farmaci della classe degli inibitori della proteasi possano garantire per alcuni soggetti un controllo completo anche al di fuori dei classici schemi di combinazione costituiti da tre farmaci: ma la terapia può funzionare bene se i pazienti sono selezionati bene” precisa Giuliano Rizzardini, direttore Dvisione I Malattie infettive A.O. Luigi Sacco di Milano. “Si studiano nuove modalità d’uso dei farmaci anche per favorire l’aderenza alla terapia, cercando strategie di semplificazione, laddove possibile, con regimi semplici e poche somministrazioni quotidiane”. Resta anche un altro importante problema, quello dell’ampia quota di persone che non sa di essere sieropositiva, e non si cura: del totale degli Hiv-positivi, i trattati sono meno di 60.000. “Una persona su quattro che vive in questa condizione oggi non lo sa” sottolinea Galli. “Bisogna favorire la possibilità che le persone facciano il test e il problema è all’attenzione delle autorità sanitarie”. Quanto alla terapia, eventuali risparmi in quei pazienti nei quali si possono semplificare i regimi potrebbero contribuire a curarne altri che oggi sfuggono.
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