Libri: "Famosi e malati"
Libri: "Famosi e malati"
Famosi? Ma ognuno col suo male
pubblicato giovedì 29 settembre 2011
di Vittorio Polito. Molte sono le persone che testimoniano quanto la malattia, piccola o grande che sia, con i suoi inevitabili impedimenti, difficilmente accettata inizialmente, ci accompagnerà sempre, ma noi abbiamo il potere di sfruttarla convivendo con lei, mentre per qualcuno potrà rappresentare anche uno stimolo per la creazione artistica. Questa tesi era già sostenuta dallo scrittore Pietro Verri (1728-1797), che così scriveva: «La musica, la pittura, la poesia, tutte belle arti, hanno per base i dolori innominati: in guisa tale che, se gli uomini fossero perfettamente sani ed allegri, non sarebbero nate mai le belle arti. Questi mali sono la sorgente di tutti i piaceri più delicati della vita».
Thomas Mann (1875-1955), scrittore tedesco, era solito affermare che rispetto ai soggetti normali l’artista si distingue per il fatto che presenta più difficoltà ad esprimersi. La conferma viene da Edvard Munch (1863-1944), il pittore degli incubi, contemporaneo di Ibsen e Strindberg, considerato il massimo artista norvegese, che sosteneva: «…senza malattia né angoscia sarei stato una barca senza timone».
Grandi malati furono anche Vincent Van Gogh (1853-1890), affetto da schizofrenia, Henry Matisse, che soffriva di grave enteropatia cronica, Toulouse Lautrec (1864-1901), che oltre ad essere un affezionato seguace di Bacco, era affetto da deformità scheletriche e da sifilide. Edgar Degas (1834-1917), accusava gravi disturbi visivi, mentre Amedeo Modigliani (1884-1920), era tubercolotico. Masaccio (soprannome di Tommaso di ser Giovanni di Mone Cassai, 1401-1428), il cui nome vuol significare vestito di stracci, morto a soli a 27 anni, era considerato un genio un po’ matto poiché con la testa immersa nel suo lavoro si dimenticava di mangiare o di farsi riparare un abito strappato e nonostante la sua brevissima vita è riuscito a dare una svolta alla storia della pittura. Per non parlare di Sigmund Freud (1856-1939), Francisco Goya (1746-1828) e Oscar Wilde (2854-1900), tutti affetti da malattie dell’orecchio o da sordità.
Alcuni sostengono che un po’ di follia e certe malattie danno vita alla creatività di un’artista, molto di più della normalità psicofisica. Infatti, lo stesso Toulouse-Lautrec, riesce a convivere con la sua deformità, ma gli altri, non geniali, che vogliono (a volte) possono guarire? Artisti o no ci tocca mettere in discussione alcuni concetti sulla nostra salute o sulla nostra malattia e per farlo ci aiutano due neuropsichiatri, Abraham e Peregrini, che qualche anno fa hanno pubblicato il volume “Ammalarsi fa bene” (Feltrinelli), attraverso il quale dimostrano, con prove, il grande aiuto prodotto dalla psicoemotività, una sorta di prontuario con le istruzioni per girare tra malattie che ne evitano altre. Nel libro citato c’è quanto basta per capire che chi è sano è più solo, mentre chi “scoppia” di salute farà bene a fingere di soffrire qualche malanno. Inoltre gli autori tentano di spiegarci come impossessarsi della malattia, del disagio e come occorra dominarli per non essere dominati, poiché l’errore più comune è quello di mascherarli. Nessuno ammette con gli altri, ma prima con se stesso, la propria fragilità fisica e/o mentale. Essere sani, belli, efficienti. Chi non appartiene a questa tribù, si sente indegno di far parte del «felice villaggio globale».
Più recentemente è stato pubblicato il volume di Luciano Sterpellone “Famosi e malati” (Editrice SEI, Torino), il quale fa un’ampia rassegna dei malati famosi.
In campo musicale si ipotizza che pochi maestri ‘scoppiavano’ di salute. Fra i più malridotti figurano Antonio Vivaldi (1678-1741), creatore di tanta stupenda musica per “Le quattro stagioni”, portatore di asma bronchiale, morì per una “infiammazione interna”; Niccolò Paganini (1782-1840), affetto da tubercolosi; Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791, che dopo aver contratto una lieve forma di vaiolo nel 1767, fu colpito nel 1788 da una crisi depressiva e creativa, si ammalò anche di insufficienza renale e forse di schizofrenia. Ma, nel 1791, con l’improvviso e straordinario risveglio della vena creativa: compone ‘Clemenza di Tito’, ‘Flauto Magico’, ‘Concerto per clarinetto’ e il ‘Requiem’. Quest’ultimo rimasto incompiuto a causa della morte, avvenuta il 5 dicembre dello stesso anno, per una “febbre da infiammazione reumatica”. È recente la notizia secondo la quale Mozart sarebbe morto perché colpito da “trichinosi” per aver mangiato troppe costolette di maiale poco cotte.
Johann Sebastian Bach (1685-1750), famoso compositore tedesco, miope da giovane, aveva sviluppato una cataratta che un micidiale oculista, John Taylor, rivelatosi un ciarlatano, introdusse nell’occhio del musicista un preparato a base di mercurio, costringendo il malcapitato a sottoporsi solo una settimana dopo ad un nuovo intervento. Era affetto da obesità, ipertensione arteriosa e soffrì di vari ‘colpi’ cerebro-vascolari, uno dei quali complicato da una non meglio identificata ‘febbre miliare’, che lo portò a morte.
Ludwig van Beethoven (1685-1750), il celeberrimo sordo che conquistò il mondo scrivendo capolavori, specie nell’ultimo decennio di vita, versava in condizioni piuttosto gravi, tanto da tentare il suicidio. Infatti in una lettera indirizzata ad un amico, Beethoven scriveva: «… e poco ci mancò che mi togliessi la vita. Solo l’arte mi ha trattenuto di farlo. Mi è parso impossibile lasciare questo mondo prima di avere pienamente realizzato ciò di cui mi sentivo capace». Il Maestro che era un buon bevitore, soffriva anche di cirrosi epatica. Beethoven era molto miope e quindi usava le lenti sin da piccolo e forse per questo motivo scrisse un “Duetto con due occhiali per viola e violoncello”. A causa della sua nota sordità trascorse sei mesi nell’arcadica atmosfera di Heiligenbstadt, oggi un trafficato quartiere viennese, «lontano dai rumori per riposare l’affaticato organo dell’udito», ove compose la Sesta Sinfonia, detta Pastorale. Purtroppo la perdita dell’udito sarà progressiva, sino alla sordità completa. Tutte le terapie prescritte (suffumigi, diuretici, lavaggi, acque termali, correnti galvaniche, magnetismo), si rivelarono inutili, se non dannose. Molto probabilmente si trattò di una otosclerosi, una ossificazione della staffa, uno degli ossicini dell’orecchio, che attualmente si cura con elevato successo, sostituendola. Il noto compositore soffriva anche di cirrosi epatica, forse dovuta alla sua documentata propensione verso l’alcol, e si ipotizza che sia stata proprio questa la causa della sua fine.
Vincenzo Bellini (1801-1835), che morì a soli 34 anni, dette adito a ipotesi di avvelenamento e per porre fine a quelle voci sempre più insistenti, dovette intervenire personalmente il re Luigi Filippo, che incaricò un professore della Facoltà di Medicina di eseguire l’autopsia sul corpo del musicista. In realtà fu esclusa l’ipotesi di avvelenamento ma la causa della morte fu attribuita ad una «infiammazione dell’intestino crasso, complicata da ascesso del fegato». Il musicista catanese soffriva molto il caldo ed aveva frequenti coliche intestinali che cercava di dominare… con i purganti. Il reperto autoptico dette adito a varie ipotesi diagnostiche, come la colite ulcerosa, la sindrome del colon irritabile, ecc.
Yasser Arafat (1929-2004), prese parte alle guerre contro Israele del 1948 e 1956 nelle file dell’esercito egiziano e fu eletto nel 1970 presidente dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). Arafat soffriva di ipertensione arteriosa complicata da arteriosclerosi e numerosi furono gli episodi di angina pectoris, favoriti dalla sua vita convulsa e continuamente a rischio. La morte è sopravvenuta in seguito ad una emorragia cerebrale, dopo 27 giorni di coma. Recentemente sono state avanzate insistenti ipotesi di avvelenamento e per dissimulare l’azione del veleno sarebbe stato iniettato il virus HIV dell’Aids.
Maria Callas (1923-1977), celebre soprano statunitense di origine greca, scomparsa nel 1977, fu colpita da una delle massime sfortune per una cantante: perdere la voce. La diagnosi tardivamente formulata fu di “dermatomiosite”, una malattia che colpisce i tessuti connettivi e nel caso della Callas colpì proprio l’organo della fonazione, la laringe, che le procurava improvvisi abbassamenti di voce. I soliti detrattori attribuivano il fenomeno alle vicende sentimentali della cantante che tanto la angosciavano. La diagnosi fu fatta tardivamente ma fu introdotta una accurata terapia cortisonica che contribuì a migliorare i toni vocali. Un anno dopo Maria Callas si spense, forse a causa di un infarto del miocardio, compatibile con la stessa dermatomiosite della quale era portatrice.
Fryderyk Chopin (1810-1849), mentre soggiornava a Palma de Majorca con il suo amico George Sand, si manifestò, circa dieci anni prima della morte, il processo tubercolare. Nonostante i chiari segni della malattia un medico, tal Papet, diagnosticò una «modica infiammazione della trachea senza segni di tubercolosi polmonare» (?). Chopin, persona estremamente sensibile, molto geloso ed irascibile, aveva sofferto in passato di varie affezioni delle vie respiratorie ed aveva seguito varie terapie in stazioni termali, equitazione, dieta con mucillagine d’avena, infuso di ghiandole tostate, ecc., tutte terapie non seguite da alcun giovamento. L’autore dei bei notturni soffriva anche di “allucinazioni uditive”, gli sembrava di udire le campane della chiesa che suonavano a morte per il suo funerale. In questa condizione compose la “Sonata in si bemolle maggiore”, di cui fa parte la “Marcia funebre”.
Gabriele D’Annunzio (1863-1938), celebre non solo come scrittore ma anche per le sue stravaganze, narcisista e megalomane, volle essere al centro dell’attenzione sia nelle sue battaglie “guerriere” che sentimentali.
Dopo un intervento subito nel 1929, gli fu consigliata la somministrazione di un purgante “per muovere l’intestino”, ma il vate rifiutò sdegnosamente di sottostare alla «volgarità dell’olio di ricino» ed allora si utilizzò un espediente: il purgante fu messo in un bicchiere con mentuccia e champagne. Morì per un’emorragia cerebrale. Come per altri personaggi famosi anche per D’Annunzio si parlò di suicidio, ma con molta probabilità quella del suicidio fu solo un’interpretazione un po’ fantasiosa di quel desiderio di sparire, che spesse volte manifestava.
Giorgio De Chirico (1888-1978), nato in Grecia, fin dalla sua giovinezza soffriva di frequenti cefalee, alle quali fu attribuita quella “rivoluzione” della pittura del Novecento (la metafisica), della quale fu riconosciuto l’ispiratore. Il pittore soffriva di “febbri spirituali”, come egli stesso li definiva, ma la scienza attuale li riconosce come forme patologiche che generano visioni alterate e allucinatorie.
Marlene Dietrich (1901-1992), con «le gambe più sexy del mondo», proprio quelle avrebbero decretato la fine della splendida carriera dell’attrice. Il motivo? L’osteoporosi sopravvenuta alla menopausa che colpì l’articolazione dell’anca costringendola in casa per dodici anni. Gli ultimi della sua vita. La preoccupazione maggiore dell’attrice non era tanto l’eventualità di nuove fratture, quanto quella di apparire a chiunque in condizioni precarie. La sua fine è da attribuire ad un ictus cerebrale, almeno così è considerato ufficialmente il motivo della sua morte. Ma vent’anni dopo la sua segretaria, fornì una versione diversa. Un suo nipote, che la Dietrich odiava, propose di ricoverarla in una casa di cura. L’attrice che udì tutto dalla sua stanza da letto lo fece cacciare di casa insieme ad altri parenti, poi chiese alla segretaria di portarle i soliti sonniferi. Pochi momenti dopo, quando la segretaria rientrò in camera, vide il flacone vuoto e la donna riversa sul letto.
Albert Einstein (1879-1955), il bambino che secondo il pronostico del padre «non avrebbe mai combinato nulla di buono nella vita», era considerato a 26 anni già un genio dal mondo scientifico. Certamente a dieci anni aveva difficoltà ad eseguire operazioni aritmetiche, ma aveva una passione per il violino e preferiva Mozart e Vivaldi. «La relatività? Pensate cos’è un minuto con i piedi sui carboni ardenti, e un minuto con una bella ragazza su un prato…». Einstein soffriva di ipertensione arteriosa, causa di un’arteriosclerosi generalizzata e di una lesione aortica che fu poi causa della sua morte. Einstein fu colpito da una lunga malattia, forse una miocardite. Nel 1948, sette anni prima della fine, fu colpito da improvvisi dolori addominali e da vomito. L’intervento chirurgico mise in evidenza una cirrosi epatica ed un aneurisma dell’aorta addominale. Ma Einstein non seguì mai troppo fedelmente i consigli dei medici. Sosteneva che «Si può anche morire senza l’aiuto dei medici».
Robert Schumann (1810-1856), compositore tedesco, grande innovatore della musica romantica, forte bevitore di birra e fumatore di sigari, bella presenza, aveva un pessimo carattere e quindi difficoltà a stabilire rapporti cordiali. Soffrì di “allucinazioni acustiche”, di varie patologie e di depressione, al punto che per ben due volte tentò il suicidio. Si ricoverò spontaneamente in una clinica per malattie mentali e nel giro di un paio d’anni perdette l’uso della voce, rifiutandosi anche di mangiare. La diagnosi psichiatrica fu di “psicosi maniaco-depressiva”.
Giovanni XXIII, al secolo Angelo Roncalli (1881-1963), soffriva di disturbi allo stomaco che rivelarono successivamente un cancro. Le sue condizioni peggiorarono dopo la sua elezione e nel 1963 morì a causa delle frequenti emorragie gastriche.
Giovanni Paolo II , Karol Wojtyla (1920-2005) ). Non aveva avuto particolari problemi di salute, se si eccettua un incidente subito nel 1944, quando fu travolto da un camion militare e riportò una lieve frattura cranica. Dopo il noto attentato subito per mano di Alì Agca, fu operato per un voluminoso tumore benigno al colon. Successivamente, in seguito ad una caduta, si lussò la spalla e si fratturò la scapola. Qualche anno dopo, la sera prima di un programmato viaggio in Sicilia, cadde nuovamente e si fratturò il collo del femore e gli fu impiantata una protesi artificiale che lo costrinsero dapprima a camminare con un bastone e successivamente a muoversi su una sedia a rotelle. Subì ancora un intervento per asportazione dell’appendice e si affacciò una nuova malattia: il morbo di Parkinson seguito anche da una ipertrofia prostatica. La situazione si aggravò nel marzo 2005 per una infezione polmonare prima e il sopravvenire, dopo, di crisi anginose, ipotensione e blocco renale. Così il Papa venuto da lontano che influenzò notevolmente la storia del XX secolo, si spense la notte del 2 aprile 2005.
Anche per l’organista barese Donato Marrone, la cecità gli fu probabilmente d’aiuto nell’esprimersi musicalmente. Un musicista ed un ottimo pianista-organista, con un grande cuore ed una totale dedizione alla musica. Secondo Vito Maurogiovanni, «Donato Marrone era una figura ben conosciuta nella città. Lo vedevamo spesso in giro per la strade, doveva raggiungere le chiese dove suonava l’organo per le funzioni solenni. Lo accompagnavano in quel tragitto quasi tutti i suoi piccoli figli che diventavano così gli angeli custodi di quel padre alto, robusto e famoso; ma era un uomo debole con le pupille spente, i lunghi capelli da musicista, un sorriso bonario eternamente stampato sul suo viso ispirato di artista».
Concludendo «stare bene non vuol dire “scoppiare di salute…” ascoltare i segnali del malessere significa usare il sistema di allarme di cui siamo dotati, solo così la nostra vita riesce a trovare un equilibrio con allarmi e squilibri quotidiani».
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pubblicato giovedì 29 settembre 2011
di Vittorio Polito. Molte sono le persone che testimoniano quanto la malattia, piccola o grande che sia, con i suoi inevitabili impedimenti, difficilmente accettata inizialmente, ci accompagnerà sempre, ma noi abbiamo il potere di sfruttarla convivendo con lei, mentre per qualcuno potrà rappresentare anche uno stimolo per la creazione artistica. Questa tesi era già sostenuta dallo scrittore Pietro Verri (1728-1797), che così scriveva: «La musica, la pittura, la poesia, tutte belle arti, hanno per base i dolori innominati: in guisa tale che, se gli uomini fossero perfettamente sani ed allegri, non sarebbero nate mai le belle arti. Questi mali sono la sorgente di tutti i piaceri più delicati della vita».
Thomas Mann (1875-1955), scrittore tedesco, era solito affermare che rispetto ai soggetti normali l’artista si distingue per il fatto che presenta più difficoltà ad esprimersi. La conferma viene da Edvard Munch (1863-1944), il pittore degli incubi, contemporaneo di Ibsen e Strindberg, considerato il massimo artista norvegese, che sosteneva: «…senza malattia né angoscia sarei stato una barca senza timone».
Grandi malati furono anche Vincent Van Gogh (1853-1890), affetto da schizofrenia, Henry Matisse, che soffriva di grave enteropatia cronica, Toulouse Lautrec (1864-1901), che oltre ad essere un affezionato seguace di Bacco, era affetto da deformità scheletriche e da sifilide. Edgar Degas (1834-1917), accusava gravi disturbi visivi, mentre Amedeo Modigliani (1884-1920), era tubercolotico. Masaccio (soprannome di Tommaso di ser Giovanni di Mone Cassai, 1401-1428), il cui nome vuol significare vestito di stracci, morto a soli a 27 anni, era considerato un genio un po’ matto poiché con la testa immersa nel suo lavoro si dimenticava di mangiare o di farsi riparare un abito strappato e nonostante la sua brevissima vita è riuscito a dare una svolta alla storia della pittura. Per non parlare di Sigmund Freud (1856-1939), Francisco Goya (1746-1828) e Oscar Wilde (2854-1900), tutti affetti da malattie dell’orecchio o da sordità.
Alcuni sostengono che un po’ di follia e certe malattie danno vita alla creatività di un’artista, molto di più della normalità psicofisica. Infatti, lo stesso Toulouse-Lautrec, riesce a convivere con la sua deformità, ma gli altri, non geniali, che vogliono (a volte) possono guarire? Artisti o no ci tocca mettere in discussione alcuni concetti sulla nostra salute o sulla nostra malattia e per farlo ci aiutano due neuropsichiatri, Abraham e Peregrini, che qualche anno fa hanno pubblicato il volume “Ammalarsi fa bene” (Feltrinelli), attraverso il quale dimostrano, con prove, il grande aiuto prodotto dalla psicoemotività, una sorta di prontuario con le istruzioni per girare tra malattie che ne evitano altre. Nel libro citato c’è quanto basta per capire che chi è sano è più solo, mentre chi “scoppia” di salute farà bene a fingere di soffrire qualche malanno. Inoltre gli autori tentano di spiegarci come impossessarsi della malattia, del disagio e come occorra dominarli per non essere dominati, poiché l’errore più comune è quello di mascherarli. Nessuno ammette con gli altri, ma prima con se stesso, la propria fragilità fisica e/o mentale. Essere sani, belli, efficienti. Chi non appartiene a questa tribù, si sente indegno di far parte del «felice villaggio globale».
Più recentemente è stato pubblicato il volume di Luciano Sterpellone “Famosi e malati” (Editrice SEI, Torino), il quale fa un’ampia rassegna dei malati famosi.
In campo musicale si ipotizza che pochi maestri ‘scoppiavano’ di salute. Fra i più malridotti figurano Antonio Vivaldi (1678-1741), creatore di tanta stupenda musica per “Le quattro stagioni”, portatore di asma bronchiale, morì per una “infiammazione interna”; Niccolò Paganini (1782-1840), affetto da tubercolosi; Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791, che dopo aver contratto una lieve forma di vaiolo nel 1767, fu colpito nel 1788 da una crisi depressiva e creativa, si ammalò anche di insufficienza renale e forse di schizofrenia. Ma, nel 1791, con l’improvviso e straordinario risveglio della vena creativa: compone ‘Clemenza di Tito’, ‘Flauto Magico’, ‘Concerto per clarinetto’ e il ‘Requiem’. Quest’ultimo rimasto incompiuto a causa della morte, avvenuta il 5 dicembre dello stesso anno, per una “febbre da infiammazione reumatica”. È recente la notizia secondo la quale Mozart sarebbe morto perché colpito da “trichinosi” per aver mangiato troppe costolette di maiale poco cotte.
Johann Sebastian Bach (1685-1750), famoso compositore tedesco, miope da giovane, aveva sviluppato una cataratta che un micidiale oculista, John Taylor, rivelatosi un ciarlatano, introdusse nell’occhio del musicista un preparato a base di mercurio, costringendo il malcapitato a sottoporsi solo una settimana dopo ad un nuovo intervento. Era affetto da obesità, ipertensione arteriosa e soffrì di vari ‘colpi’ cerebro-vascolari, uno dei quali complicato da una non meglio identificata ‘febbre miliare’, che lo portò a morte.
Ludwig van Beethoven (1685-1750), il celeberrimo sordo che conquistò il mondo scrivendo capolavori, specie nell’ultimo decennio di vita, versava in condizioni piuttosto gravi, tanto da tentare il suicidio. Infatti in una lettera indirizzata ad un amico, Beethoven scriveva: «… e poco ci mancò che mi togliessi la vita. Solo l’arte mi ha trattenuto di farlo. Mi è parso impossibile lasciare questo mondo prima di avere pienamente realizzato ciò di cui mi sentivo capace». Il Maestro che era un buon bevitore, soffriva anche di cirrosi epatica. Beethoven era molto miope e quindi usava le lenti sin da piccolo e forse per questo motivo scrisse un “Duetto con due occhiali per viola e violoncello”. A causa della sua nota sordità trascorse sei mesi nell’arcadica atmosfera di Heiligenbstadt, oggi un trafficato quartiere viennese, «lontano dai rumori per riposare l’affaticato organo dell’udito», ove compose la Sesta Sinfonia, detta Pastorale. Purtroppo la perdita dell’udito sarà progressiva, sino alla sordità completa. Tutte le terapie prescritte (suffumigi, diuretici, lavaggi, acque termali, correnti galvaniche, magnetismo), si rivelarono inutili, se non dannose. Molto probabilmente si trattò di una otosclerosi, una ossificazione della staffa, uno degli ossicini dell’orecchio, che attualmente si cura con elevato successo, sostituendola. Il noto compositore soffriva anche di cirrosi epatica, forse dovuta alla sua documentata propensione verso l’alcol, e si ipotizza che sia stata proprio questa la causa della sua fine.
Vincenzo Bellini (1801-1835), che morì a soli 34 anni, dette adito a ipotesi di avvelenamento e per porre fine a quelle voci sempre più insistenti, dovette intervenire personalmente il re Luigi Filippo, che incaricò un professore della Facoltà di Medicina di eseguire l’autopsia sul corpo del musicista. In realtà fu esclusa l’ipotesi di avvelenamento ma la causa della morte fu attribuita ad una «infiammazione dell’intestino crasso, complicata da ascesso del fegato». Il musicista catanese soffriva molto il caldo ed aveva frequenti coliche intestinali che cercava di dominare… con i purganti. Il reperto autoptico dette adito a varie ipotesi diagnostiche, come la colite ulcerosa, la sindrome del colon irritabile, ecc.
Yasser Arafat (1929-2004), prese parte alle guerre contro Israele del 1948 e 1956 nelle file dell’esercito egiziano e fu eletto nel 1970 presidente dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). Arafat soffriva di ipertensione arteriosa complicata da arteriosclerosi e numerosi furono gli episodi di angina pectoris, favoriti dalla sua vita convulsa e continuamente a rischio. La morte è sopravvenuta in seguito ad una emorragia cerebrale, dopo 27 giorni di coma. Recentemente sono state avanzate insistenti ipotesi di avvelenamento e per dissimulare l’azione del veleno sarebbe stato iniettato il virus HIV dell’Aids.
Maria Callas (1923-1977), celebre soprano statunitense di origine greca, scomparsa nel 1977, fu colpita da una delle massime sfortune per una cantante: perdere la voce. La diagnosi tardivamente formulata fu di “dermatomiosite”, una malattia che colpisce i tessuti connettivi e nel caso della Callas colpì proprio l’organo della fonazione, la laringe, che le procurava improvvisi abbassamenti di voce. I soliti detrattori attribuivano il fenomeno alle vicende sentimentali della cantante che tanto la angosciavano. La diagnosi fu fatta tardivamente ma fu introdotta una accurata terapia cortisonica che contribuì a migliorare i toni vocali. Un anno dopo Maria Callas si spense, forse a causa di un infarto del miocardio, compatibile con la stessa dermatomiosite della quale era portatrice.
Fryderyk Chopin (1810-1849), mentre soggiornava a Palma de Majorca con il suo amico George Sand, si manifestò, circa dieci anni prima della morte, il processo tubercolare. Nonostante i chiari segni della malattia un medico, tal Papet, diagnosticò una «modica infiammazione della trachea senza segni di tubercolosi polmonare» (?). Chopin, persona estremamente sensibile, molto geloso ed irascibile, aveva sofferto in passato di varie affezioni delle vie respiratorie ed aveva seguito varie terapie in stazioni termali, equitazione, dieta con mucillagine d’avena, infuso di ghiandole tostate, ecc., tutte terapie non seguite da alcun giovamento. L’autore dei bei notturni soffriva anche di “allucinazioni uditive”, gli sembrava di udire le campane della chiesa che suonavano a morte per il suo funerale. In questa condizione compose la “Sonata in si bemolle maggiore”, di cui fa parte la “Marcia funebre”.
Gabriele D’Annunzio (1863-1938), celebre non solo come scrittore ma anche per le sue stravaganze, narcisista e megalomane, volle essere al centro dell’attenzione sia nelle sue battaglie “guerriere” che sentimentali.
Dopo un intervento subito nel 1929, gli fu consigliata la somministrazione di un purgante “per muovere l’intestino”, ma il vate rifiutò sdegnosamente di sottostare alla «volgarità dell’olio di ricino» ed allora si utilizzò un espediente: il purgante fu messo in un bicchiere con mentuccia e champagne. Morì per un’emorragia cerebrale. Come per altri personaggi famosi anche per D’Annunzio si parlò di suicidio, ma con molta probabilità quella del suicidio fu solo un’interpretazione un po’ fantasiosa di quel desiderio di sparire, che spesse volte manifestava.
Giorgio De Chirico (1888-1978), nato in Grecia, fin dalla sua giovinezza soffriva di frequenti cefalee, alle quali fu attribuita quella “rivoluzione” della pittura del Novecento (la metafisica), della quale fu riconosciuto l’ispiratore. Il pittore soffriva di “febbri spirituali”, come egli stesso li definiva, ma la scienza attuale li riconosce come forme patologiche che generano visioni alterate e allucinatorie.
Marlene Dietrich (1901-1992), con «le gambe più sexy del mondo», proprio quelle avrebbero decretato la fine della splendida carriera dell’attrice. Il motivo? L’osteoporosi sopravvenuta alla menopausa che colpì l’articolazione dell’anca costringendola in casa per dodici anni. Gli ultimi della sua vita. La preoccupazione maggiore dell’attrice non era tanto l’eventualità di nuove fratture, quanto quella di apparire a chiunque in condizioni precarie. La sua fine è da attribuire ad un ictus cerebrale, almeno così è considerato ufficialmente il motivo della sua morte. Ma vent’anni dopo la sua segretaria, fornì una versione diversa. Un suo nipote, che la Dietrich odiava, propose di ricoverarla in una casa di cura. L’attrice che udì tutto dalla sua stanza da letto lo fece cacciare di casa insieme ad altri parenti, poi chiese alla segretaria di portarle i soliti sonniferi. Pochi momenti dopo, quando la segretaria rientrò in camera, vide il flacone vuoto e la donna riversa sul letto.
Albert Einstein (1879-1955), il bambino che secondo il pronostico del padre «non avrebbe mai combinato nulla di buono nella vita», era considerato a 26 anni già un genio dal mondo scientifico. Certamente a dieci anni aveva difficoltà ad eseguire operazioni aritmetiche, ma aveva una passione per il violino e preferiva Mozart e Vivaldi. «La relatività? Pensate cos’è un minuto con i piedi sui carboni ardenti, e un minuto con una bella ragazza su un prato…». Einstein soffriva di ipertensione arteriosa, causa di un’arteriosclerosi generalizzata e di una lesione aortica che fu poi causa della sua morte. Einstein fu colpito da una lunga malattia, forse una miocardite. Nel 1948, sette anni prima della fine, fu colpito da improvvisi dolori addominali e da vomito. L’intervento chirurgico mise in evidenza una cirrosi epatica ed un aneurisma dell’aorta addominale. Ma Einstein non seguì mai troppo fedelmente i consigli dei medici. Sosteneva che «Si può anche morire senza l’aiuto dei medici».
Robert Schumann (1810-1856), compositore tedesco, grande innovatore della musica romantica, forte bevitore di birra e fumatore di sigari, bella presenza, aveva un pessimo carattere e quindi difficoltà a stabilire rapporti cordiali. Soffrì di “allucinazioni acustiche”, di varie patologie e di depressione, al punto che per ben due volte tentò il suicidio. Si ricoverò spontaneamente in una clinica per malattie mentali e nel giro di un paio d’anni perdette l’uso della voce, rifiutandosi anche di mangiare. La diagnosi psichiatrica fu di “psicosi maniaco-depressiva”.
Giovanni XXIII, al secolo Angelo Roncalli (1881-1963), soffriva di disturbi allo stomaco che rivelarono successivamente un cancro. Le sue condizioni peggiorarono dopo la sua elezione e nel 1963 morì a causa delle frequenti emorragie gastriche.
Giovanni Paolo II , Karol Wojtyla (1920-2005) ). Non aveva avuto particolari problemi di salute, se si eccettua un incidente subito nel 1944, quando fu travolto da un camion militare e riportò una lieve frattura cranica. Dopo il noto attentato subito per mano di Alì Agca, fu operato per un voluminoso tumore benigno al colon. Successivamente, in seguito ad una caduta, si lussò la spalla e si fratturò la scapola. Qualche anno dopo, la sera prima di un programmato viaggio in Sicilia, cadde nuovamente e si fratturò il collo del femore e gli fu impiantata una protesi artificiale che lo costrinsero dapprima a camminare con un bastone e successivamente a muoversi su una sedia a rotelle. Subì ancora un intervento per asportazione dell’appendice e si affacciò una nuova malattia: il morbo di Parkinson seguito anche da una ipertrofia prostatica. La situazione si aggravò nel marzo 2005 per una infezione polmonare prima e il sopravvenire, dopo, di crisi anginose, ipotensione e blocco renale. Così il Papa venuto da lontano che influenzò notevolmente la storia del XX secolo, si spense la notte del 2 aprile 2005.
Anche per l’organista barese Donato Marrone, la cecità gli fu probabilmente d’aiuto nell’esprimersi musicalmente. Un musicista ed un ottimo pianista-organista, con un grande cuore ed una totale dedizione alla musica. Secondo Vito Maurogiovanni, «Donato Marrone era una figura ben conosciuta nella città. Lo vedevamo spesso in giro per la strade, doveva raggiungere le chiese dove suonava l’organo per le funzioni solenni. Lo accompagnavano in quel tragitto quasi tutti i suoi piccoli figli che diventavano così gli angeli custodi di quel padre alto, robusto e famoso; ma era un uomo debole con le pupille spente, i lunghi capelli da musicista, un sorriso bonario eternamente stampato sul suo viso ispirato di artista».
Concludendo «stare bene non vuol dire “scoppiare di salute…” ascoltare i segnali del malessere significa usare il sistema di allarme di cui siamo dotati, solo così la nostra vita riesce a trovare un equilibrio con allarmi e squilibri quotidiani».
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