Libri Hiv Aids : “Il sogno del villaggio dei Ding”
Libri Hiv Aids : “Il sogno del villaggio dei Ding”
“Il sogno del villaggio dei Ding”
“Questi duecentomila caratteri esprimono non solo il mio amore per la vita, ma anche la mia idea di narrazione e la mia passione per l’arte del romanzo”: così scrive Yan Lianke nella post fazione al suo ultimo romanzo, “Il sogno del villaggio dei Ding“.
Nelle quattrocento pagine che compongono questo raffinato testo è racchiuso uno dei capitoli più scomodi e più taciuti della storia della Cina contemporanea: la vendita del sangue e il conseguente propagarsi dell’HIV. Nei primi anni novanta il commercio di sangue divenne una fonte di guadagno facile e consueta tra i contadini della regione dell’Henan. L’AIDS veniva visto come un male dell’Occidente e il governo cinese non ci pensò molto a creare nei villaggi dei centri di raccolta sia governativi che privati. I contadini guadagnavano più facendosi infilare un ago che coltivando; il governo rivendeva all’estero il sangue a cifre elevate. Le siringhe venivano utilizzate più volte. Non si sa se lo Stato fosse ingenuo in questa operazione oppure se fosse consapevole di quello che stava facendo. Nel romanzo di Lianke, Ding Hui, colui che si occupò della vendita dell’oro rosso nel villaggio, non si ammalò mai; né lui, né la moglie, né i figli. Emblema del governo cinese, Hui, sembra che non avesse donato il sangue.
Il figlio morì avvelenato e attraverso il racconto del giovane morto noi lettori siamo lasciati nella vita del Villaggio dei Ding. La vendita del sangue è un attimo nel racconto: la voce narra il dopo. Ci parla delle persone che “morivano come le foglie che d’autunno cadono a terra volteggiando. La luce si spegneva e loro non erano più di questo mondo”.”Dapprima, quando un uomo moriva era come se morisse un cane, poi fu come se morisse una formica”. Ci racconta della scuola utilizzata come ricovero per i malati, ma che diviene anche il posto più allegro del villaggio. E sul finire arriviamo al commercio di matrimoni post mortem. Il governo cinese sta al comando di tutto questo. La Cina del romanzo è nella sua massima espansione: tradizione e futuro si mischiano in un pantano. Sui tre lati delle bare “erano raffigurate tutte le cose che rendono piacevole la vita della gente di città: televisori, lavatrici, frigoriferi […] Più importante di tutte era l’illustrazione intagliata all’interno del lato posteriore, ai piedi di mio zio: un grande edificio con la scritta”Banca Popolare della Cina”.
Fiori che in autunno cadono e che in primavera rimangono serrati con il loro verde smagliante sulle foglie, raccontano le stagioni che passano e la vita che scorre o si interrompe. Padre e figlio si contrappongono come le capanne e le case di mattoni a due piani che campeggiano in un villaggio senza più alberi e persone.
Ne “Il sogno del villaggio dei Ding” c’è una pesantissima denuncia al governo cinese e la censura di questo testo in Cina fa capire quanto di quel momento ancora ci sia nella Cina del XXIesimo secolo.
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“Questi duecentomila caratteri esprimono non solo il mio amore per la vita, ma anche la mia idea di narrazione e la mia passione per l’arte del romanzo”: così scrive Yan Lianke nella post fazione al suo ultimo romanzo, “Il sogno del villaggio dei Ding“.
Nelle quattrocento pagine che compongono questo raffinato testo è racchiuso uno dei capitoli più scomodi e più taciuti della storia della Cina contemporanea: la vendita del sangue e il conseguente propagarsi dell’HIV. Nei primi anni novanta il commercio di sangue divenne una fonte di guadagno facile e consueta tra i contadini della regione dell’Henan. L’AIDS veniva visto come un male dell’Occidente e il governo cinese non ci pensò molto a creare nei villaggi dei centri di raccolta sia governativi che privati. I contadini guadagnavano più facendosi infilare un ago che coltivando; il governo rivendeva all’estero il sangue a cifre elevate. Le siringhe venivano utilizzate più volte. Non si sa se lo Stato fosse ingenuo in questa operazione oppure se fosse consapevole di quello che stava facendo. Nel romanzo di Lianke, Ding Hui, colui che si occupò della vendita dell’oro rosso nel villaggio, non si ammalò mai; né lui, né la moglie, né i figli. Emblema del governo cinese, Hui, sembra che non avesse donato il sangue.
Il figlio morì avvelenato e attraverso il racconto del giovane morto noi lettori siamo lasciati nella vita del Villaggio dei Ding. La vendita del sangue è un attimo nel racconto: la voce narra il dopo. Ci parla delle persone che “morivano come le foglie che d’autunno cadono a terra volteggiando. La luce si spegneva e loro non erano più di questo mondo”.”Dapprima, quando un uomo moriva era come se morisse un cane, poi fu come se morisse una formica”. Ci racconta della scuola utilizzata come ricovero per i malati, ma che diviene anche il posto più allegro del villaggio. E sul finire arriviamo al commercio di matrimoni post mortem. Il governo cinese sta al comando di tutto questo. La Cina del romanzo è nella sua massima espansione: tradizione e futuro si mischiano in un pantano. Sui tre lati delle bare “erano raffigurate tutte le cose che rendono piacevole la vita della gente di città: televisori, lavatrici, frigoriferi […] Più importante di tutte era l’illustrazione intagliata all’interno del lato posteriore, ai piedi di mio zio: un grande edificio con la scritta”Banca Popolare della Cina”.
Fiori che in autunno cadono e che in primavera rimangono serrati con il loro verde smagliante sulle foglie, raccontano le stagioni che passano e la vita che scorre o si interrompe. Padre e figlio si contrappongono come le capanne e le case di mattoni a due piani che campeggiano in un villaggio senza più alberi e persone.
Ne “Il sogno del villaggio dei Ding” c’è una pesantissima denuncia al governo cinese e la censura di questo testo in Cina fa capire quanto di quel momento ancora ci sia nella Cina del XXIesimo secolo.
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