Vaccino Caruso P17
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Vaccino Caruso P17
Vaccino basato su proteina P17.
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AIDS, VACCINO MADE IN ITALY
da blog.panorama.it - del 12.10.10
Si chiama At20. Non è la sigla di un volo aereo ma il nome di un nuovo vaccino terapeutico per aumentare le difese immunitarie devastate dal virus dell’aids. L’arruolamento dei pazienti per il primo studio clinico multicentrico con questo vaccino made in Italy è partito in questi giorni.
Lo ha ideato Arnaldo Caruso, docente di microbiologia all’Università di Brescia, e lo ha sviluppato la Medestea research & production di Torino. I dati ottenuti dalla sperimentazione (in vitro e su animali) sono stati presentati da Caruso al meeting internazionale sull’aids e il cancro dell’Istituto americano di virologia umana diretto da Robert Gallo, a Tropea, ospitato dall’Università di Calabria. È dal 2001 che Caruso affianca la biotech torinese in questo progetto. Si sta parlando di un vaccino capace di bloccare non tanto il virus, mutevole, quanto la proteina virale p17, che mette fuori gioco le cellule immunitarie, i linfociti T e i monociti, bersaglio dell’hiv.
«Dalla sperimentazione su topi e conigli abbiamo visto che il vaccino produce una risposta anticorpale immunologicamente efficace» spiega Caruso. «I primi dati sono stati pubblicati nel 2002 sui Pnas e successive ricerche su modelli cellulari, tutti vulnerabili all’hiv, come monociti, macrofagi e cellule dendritiche, hanno mostrato non solo la capacità della p17 di danneggiare le cellule immunitarie, ma hanno messo pure in evidenza che gli anticorpi naturalmente sviluppati durante l’infezione contro la proteina virale ne bloccano l’attività».
Capire quale fosse la porzione attiva della p17 è stato il passo successivo. La sequenza di aminoacidi, la At20, sintetizzata in laboratorio e coperta da brevetto, inoculata in animali ha generato anticorpi che bloccano l’interazione fra la proteina e il suo recettore sulle cellule, proteggendo le cellule immunitarie dall’azione della p17.
Mentre i normali vaccini sono studiati per prevenire l’infezione, e nessuno finora ha funzionato, quelli terapeutici si affiancano ai cocktail di farmaci che diminuiscono la carica virale ma non vincono la malattia. «Credo sia la strada giusta. Gli antiretrovirali, primo tra tutti l’Azt e poi la triterapia, hanno cambiato la storia dell’aids. I vaccini terapeutici si stanno sperimentando da tempo con risultati interessanti. Dipende da come il vaccino è dato, quanto spesso, ma soprattutto dal tipo di vaccino e dalla strategia usata» dice Gallo, di origine calabrese come Caruso, al cui fianco collabora nel progetto.
Il vantaggio di essere riusciti a mimare la porzione attiva della p17, ossia At20, è che essa si mostra immutata in vari ceppi virali, almeno 17, sia africani sia europei, e nonostante le mutazioni del virus si mantiene molto simile a se stessa, come una chiave che entra in qualsiasi serratura. «L’anticorpo generato con questo nostro passe-partout molecolare neutralizza l’attività biologica di proteine p17 molto distanti fra loro» dice Caruso. E bloccarla significa rendere le cellule non più aggredibili dal virus della proteina virale e potenziare le difese immunitarie. Un vaccino come questo potrebbe essere utilizzato anche nei paesi che ora fanno fatica ad avere accesso alle terapie, perché tra l’altro non costerebbe molto.
Cos’è esattamente la p17? È una proteina di matrice, ossia sta nello spazio interno del virus tra involucro e nucleo. È fondamentale nella sua replicazione, trasportandone il codice genetico nel nucleo della cellula, e prendendo parte attiva alla produzione di nuove particelle virali. «Il virus io l’immagino come un serpente che cambia pelle e colore, il nostro vaccino non è contro di lui, ma vuole neutralizzarne il veleno: la proteina che attacca il sistema immunitario pare responsabile anche di linfomi e tumori» afferma Gianfranco Merizzi, presidente della Medestea.
L’At20 è ora in fase uno su pazienti sieropositivi per valutarne l’innocuità e vedere quanti anticorpi produce a diverse dosi. L’obiettivo è reclutare 36 persone. Seguirà la fase due per stabilirne l’efficacia. I candidati ideali? I pazienti con terapia antiretrovirale che hanno bisogno di rafforzare le difese immunitarie, ma anche gli asintomatici. «Uno studio che presto pubblicheremo dimostra che individui con una bassa carica virale, mai trattati con farmaci, hanno già difetti immunitari. Cioè non sono affatto dei portatori sani» aggiunge Caruso.
Secondo i ricercatori, il vaccino terapeutico somministrato in fase iniziale ai sieropositivi che non hanno ancora manifestato sintomi eviterà che il virus si replichi indisturbato, sviluppando nel frattempo resistenze. «Per eseguire una prova di funzione del vaccino avremo bisogno di fare un’interruzione programmata della terapia, è previsto dal comitato etico» continua Caruso. «Normalmente, se interrompo la terapia con i farmaci in un paziente non vaccinato, la carica virale sale; ma se vaccinando ciò non avviene e il virus non riemerge, o lo fa dopo un lasso notevole di tempo, vuol dire che il vaccino funziona. Dopo di che si rimette in cura il paziente. Un protocollo di intermittenza, adattabile a ogni malato, a seconda della risposta immunitaria al vaccino».
In un futuro, non tanto lontano, c’è l’idea di una terapia combinata: abbinare il vaccino terapeutico agli anticorpi monoclonali anti p17, che la Medestea ha coperto con brevetto ed è pronta a produrre in Gmp, ossia le Good manufacturing practices, condizioni di buona pratica previste per questi farmaci. «Ci sono persone refrattarie al vaccino, altre che non rispondono ai farmaci. Oppure la qualità e la quantità dei loro anticorpi non neutralizza la p17» avverte Caruso. In questi casi, considerato che si ritiene che la p17 abbia un ruolo chiave, l’ipotesi, ancora da verificare, è che somministrando per via passiva, ossia iniettandoli nel sangue, anticorpi che neutralizzano la p17 si possa fare riprendere la funzionalità del sistema immunitario. «Una volta che gli anticorpi hanno bloccato la proteina e fornito un graduale ripristino delle difese dell’organismo, in aggiunta a quello ottenuto con i farmaci antiretrovirali, si somministrerà anche il vaccino terapeutico con la speranza che il paziente possa produrre finalmente i suoi anticorpi» conclude Caruso, che non nasconde ottimismo per questa strategia.
Fonte: blog.panorama.it
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AIDS, VACCINO MADE IN ITALY
da blog.panorama.it - del 12.10.10
Si chiama At20. Non è la sigla di un volo aereo ma il nome di un nuovo vaccino terapeutico per aumentare le difese immunitarie devastate dal virus dell’aids. L’arruolamento dei pazienti per il primo studio clinico multicentrico con questo vaccino made in Italy è partito in questi giorni.
Lo ha ideato Arnaldo Caruso, docente di microbiologia all’Università di Brescia, e lo ha sviluppato la Medestea research & production di Torino. I dati ottenuti dalla sperimentazione (in vitro e su animali) sono stati presentati da Caruso al meeting internazionale sull’aids e il cancro dell’Istituto americano di virologia umana diretto da Robert Gallo, a Tropea, ospitato dall’Università di Calabria. È dal 2001 che Caruso affianca la biotech torinese in questo progetto. Si sta parlando di un vaccino capace di bloccare non tanto il virus, mutevole, quanto la proteina virale p17, che mette fuori gioco le cellule immunitarie, i linfociti T e i monociti, bersaglio dell’hiv.
«Dalla sperimentazione su topi e conigli abbiamo visto che il vaccino produce una risposta anticorpale immunologicamente efficace» spiega Caruso. «I primi dati sono stati pubblicati nel 2002 sui Pnas e successive ricerche su modelli cellulari, tutti vulnerabili all’hiv, come monociti, macrofagi e cellule dendritiche, hanno mostrato non solo la capacità della p17 di danneggiare le cellule immunitarie, ma hanno messo pure in evidenza che gli anticorpi naturalmente sviluppati durante l’infezione contro la proteina virale ne bloccano l’attività».
Capire quale fosse la porzione attiva della p17 è stato il passo successivo. La sequenza di aminoacidi, la At20, sintetizzata in laboratorio e coperta da brevetto, inoculata in animali ha generato anticorpi che bloccano l’interazione fra la proteina e il suo recettore sulle cellule, proteggendo le cellule immunitarie dall’azione della p17.
Mentre i normali vaccini sono studiati per prevenire l’infezione, e nessuno finora ha funzionato, quelli terapeutici si affiancano ai cocktail di farmaci che diminuiscono la carica virale ma non vincono la malattia. «Credo sia la strada giusta. Gli antiretrovirali, primo tra tutti l’Azt e poi la triterapia, hanno cambiato la storia dell’aids. I vaccini terapeutici si stanno sperimentando da tempo con risultati interessanti. Dipende da come il vaccino è dato, quanto spesso, ma soprattutto dal tipo di vaccino e dalla strategia usata» dice Gallo, di origine calabrese come Caruso, al cui fianco collabora nel progetto.
Il vantaggio di essere riusciti a mimare la porzione attiva della p17, ossia At20, è che essa si mostra immutata in vari ceppi virali, almeno 17, sia africani sia europei, e nonostante le mutazioni del virus si mantiene molto simile a se stessa, come una chiave che entra in qualsiasi serratura. «L’anticorpo generato con questo nostro passe-partout molecolare neutralizza l’attività biologica di proteine p17 molto distanti fra loro» dice Caruso. E bloccarla significa rendere le cellule non più aggredibili dal virus della proteina virale e potenziare le difese immunitarie. Un vaccino come questo potrebbe essere utilizzato anche nei paesi che ora fanno fatica ad avere accesso alle terapie, perché tra l’altro non costerebbe molto.
Cos’è esattamente la p17? È una proteina di matrice, ossia sta nello spazio interno del virus tra involucro e nucleo. È fondamentale nella sua replicazione, trasportandone il codice genetico nel nucleo della cellula, e prendendo parte attiva alla produzione di nuove particelle virali. «Il virus io l’immagino come un serpente che cambia pelle e colore, il nostro vaccino non è contro di lui, ma vuole neutralizzarne il veleno: la proteina che attacca il sistema immunitario pare responsabile anche di linfomi e tumori» afferma Gianfranco Merizzi, presidente della Medestea.
L’At20 è ora in fase uno su pazienti sieropositivi per valutarne l’innocuità e vedere quanti anticorpi produce a diverse dosi. L’obiettivo è reclutare 36 persone. Seguirà la fase due per stabilirne l’efficacia. I candidati ideali? I pazienti con terapia antiretrovirale che hanno bisogno di rafforzare le difese immunitarie, ma anche gli asintomatici. «Uno studio che presto pubblicheremo dimostra che individui con una bassa carica virale, mai trattati con farmaci, hanno già difetti immunitari. Cioè non sono affatto dei portatori sani» aggiunge Caruso.
Secondo i ricercatori, il vaccino terapeutico somministrato in fase iniziale ai sieropositivi che non hanno ancora manifestato sintomi eviterà che il virus si replichi indisturbato, sviluppando nel frattempo resistenze. «Per eseguire una prova di funzione del vaccino avremo bisogno di fare un’interruzione programmata della terapia, è previsto dal comitato etico» continua Caruso. «Normalmente, se interrompo la terapia con i farmaci in un paziente non vaccinato, la carica virale sale; ma se vaccinando ciò non avviene e il virus non riemerge, o lo fa dopo un lasso notevole di tempo, vuol dire che il vaccino funziona. Dopo di che si rimette in cura il paziente. Un protocollo di intermittenza, adattabile a ogni malato, a seconda della risposta immunitaria al vaccino».
In un futuro, non tanto lontano, c’è l’idea di una terapia combinata: abbinare il vaccino terapeutico agli anticorpi monoclonali anti p17, che la Medestea ha coperto con brevetto ed è pronta a produrre in Gmp, ossia le Good manufacturing practices, condizioni di buona pratica previste per questi farmaci. «Ci sono persone refrattarie al vaccino, altre che non rispondono ai farmaci. Oppure la qualità e la quantità dei loro anticorpi non neutralizza la p17» avverte Caruso. In questi casi, considerato che si ritiene che la p17 abbia un ruolo chiave, l’ipotesi, ancora da verificare, è che somministrando per via passiva, ossia iniettandoli nel sangue, anticorpi che neutralizzano la p17 si possa fare riprendere la funzionalità del sistema immunitario. «Una volta che gli anticorpi hanno bloccato la proteina e fornito un graduale ripristino delle difese dell’organismo, in aggiunta a quello ottenuto con i farmaci antiretrovirali, si somministrerà anche il vaccino terapeutico con la speranza che il paziente possa produrre finalmente i suoi anticorpi» conclude Caruso, che non nasconde ottimismo per questa strategia.
Fonte: blog.panorama.it
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