L’omosessualità, il grande tabù dello sport
L’omosessualità, il grande tabù dello sport
Il primo manager della NBA a fare coming out è un’eccezione in un mondo ancora ostile verso chi ama persone dello stesso sesso
Pochi giorni fa l’NBA ha visto cadere uno dei grandi tabù dello sport professionistico americano. Per la prima volta uno degli esponenti più importanti della pallacanestro a stelle e strisce, il manager Rick Welts, ha dichiarato la propria omosessualità. Il mondo dello sport maschile appare però ancora chiuso all’amore verso persone dello stesso sesso. Qualche barriera è già caduta, ma la strada è ancora lunga.
WELTS, UNA VITA NASCOSTA – Rick Welts, presidente dei Phoenix Suns, una delle squadre più celebri della NBA, ha confessato al New York Times la propria omosessualità. Welts è il primo rappresentante della lega professionista americana a fare coming out, dopo una vita trascorsa all’interno di un mondo notoriamente poco simpatetico con i gay. Welts è stato in passato uno dei principali responsabili dei Seattle Supersonics, per poi passare alla stessa NBA, nella cui organizzazione ha ricoperto incarichi di crescente responsabilità. Uno dei creatori dell’immagine del mitico Dream Team, la nazionale olimpica che a Barcellona 1992 schierò le leggende del basket americano, Welts è poi passato a dirigere i Phoenix Suns.
Prima di fare coming out Welts ha chiesto consiglio ad alcuni amici, tra cui David Stern, commissario della NBA, la massima autorità del campionato, e l’ex cestista Bill Russell, una delle leggende di questo sport. Entrambi hanno offerto il proprio aiuto e sostegno a Welts. Welts è una personalità nel mondo della pallacanestro USA: nel corso di venti anni è stato uno dei dirigenti più importanti della NBA e nel 1984 fu il promotore del famoso NBA All Star Weekend. Il fatto di condurre una doppia vita lo ha portato a dover pagare un alto prezzo dal punto di vista emotivo, come nel 1994 quando morì il suo compagno per complicazioni dovute all’HIV e non poté dire nulla a nessuno e la stessa consegna del silenzio ha dovuto vivere un paio di anni fa quando il suo compagno, dopo quattordici anni di vita insieme, lo ha lasciato. Ma non è mai tardi per vivere nella sincerità e ora Rick Welts si è sentito pronto: ha affermato di aver deciso di dichiarare la propria omosessualità sia perché vuole vivere apertamente la sua vita, sia perché vuole aiutare a combattere l’omofobia che c’è nello sport.
Un coming out che ha attirato molta attenzione, anche perché pochi giorni dopo una delle nuove stelle della NBA, Yoakim Noah, ha insultato uno spettatore con un termine omofobo. Poche settimane prima lo stesso era stato fatto da Kobe Bryant, probabilmente il giocatore di basket più celebre a livello mondiale. Il machismo e l’omofobia sembrano ancora dominare il mondo della NBA, ma la scelta di Welts può essere uno dei primi passi verso un diverso futuro.
MESE DELLO SPORT GAY – Il sito americano Ousports da tempo ospita i coming out dei tanti sportivi costretti a vivere nell’ombra la propria sessualità. Le dichiarazioni di Welts hanno fatto scrivere ad Outsports che gli ultimi 30 giorni abbiano rappresentato il mese più gay della storia dello sport americano.
Prima ci sono stati gli insulti di Kobe Bryant, poi il giocatore di hockey su ghiaccio Sean Avery ha dichiarato il suo appoggio ai matrimoni gay. Peter Vidmar, ginnasta olimpionico, ha perso il suo posto nel comitato di Londra 2012 per il suo attivismo anti omosessuali durante il referendum californiano di tre anni fa. Un atleta del college ha chiesto scusa per i suoi tweets contro la comunità LGBT, mentre Will Sheridan ha dichiarato che viveva apertamente la sua omosessualità con i suoi compagni di squadra quando giocava a basket. Il risultato di questi fatti è stato un ampio dibattito sulla presenza dei gay nello sport sulla carta stampata, radio, televisione e internet, che serve per tenere vivo questo tema. Non mi sono esaltato per il coming out di Welts, perché conoscevo da molto tempo la sua omosessualità, e sentivo che se si fosse dichiarato molto tempo fa non ci sarebbero state conseguenze negative. Ma la sua storia è servita per i media perché lui è il primo nome di un certo livello, e quindi è probabile che l’informazione cercherà altre vicende come la sua. Significa che ci sarà finalmente un atleta omosessuale di uno dei più grandi sport che si dichiarerà pubblicamente? Non necessariamente. Il coming out è una decisione personale che dipende più da dinamiche individuali e dalla situazione personale che dalla cultura più ampia della società. Comunque, l’idea si fa sempre più concreta, come dimostrano gli eventi dello scorso mese. E’ solo una questione di quando, non se.
ATLETI PER IL MATRIMONIO GAY – Al momento non c’è ancora un atleta dei quattro grandi sport a stelle e strisce, football, baseball, basket e hockey, che si è dichiarato gay mentre è in attività. Negli scorsi mesi c’è stato però un numero crescente di sportivi che ha fatto aperta campagna per una delle cause più importanti della comunità LGBT, il riconoscimento della loro uguaglianza in materia di matrimonio. Poco tempo fa il mondo dell’hockey è stato scosso dal supporto di Sean Avery per il matrimonio omosessuale da introdurre nello Stato di New York.
L’attaccante dei Rangers ha realizzato uno spot che è stato subito attaccato da altri suoi colleghi, come la coppia padre figlio Don e Todd Reynolds. I Reynolds hanno preso una durissima posizione contro Avery, rimproverandogli di appoggiare una proposta che è “comunque e sempre sbagliata”, visto che “l’uomo e la donna sono stati creati per sposarsi, non l’uomo con un altro uomo oppure con un cavallo”. Il mondo dello sport può apparire come l’ultimo bastione dell’omofobia, ma come nota Espn, è sorprendente notare quanti siano gli atleti professionisti che hanno preso già posizione a favore dei diritti della comunità LGBT. Grant Hill e Jared Dudley, due giocatori dei Phoenix Suns, hanno girato spot contro il bullismo nei confronti dei giovani gay, mentre il loro capitano Steve Nash ha partecipato alla campagna di Human Rigths Campaign a favore del matrimonio gay a New York. Nel football Scott Fujita e Brendon Ayanbadejo si sono attivati per la causa della parità per la comunità LGBT, mentre nel mondo dell’hockey l’impegno di Avery era stato preceduto da Brian Burke e suo figlio Patrick, rispettivamente direttore sportivo e talent scout della NHL. Il caso di Avery è particolarmente significativo proprio per il profilo del giocatore. Violento, rissoso, odiato dai tifosi per il suo gioco scorretto, definito da Hockey News come un genio del male e noto pure per essere un discreto donnaiolo.
CALCIO, ULTIMO TABU’ – Il pallone uno dei mondi più restii ad accettare l’omosessualità, tanto che Marcello Lippi e Luciano Moggi hanno negato perfino la possibilità che ci potessero essere calciatori omosessuali.
In Germania Mario Gomez ha chiesto ai suoi colleghi omosessuali di farsi avanti, ma nessuno l’ha ascoltato, e il suo compagno di squadra Lahm ha consigliato l’esatto contrario a distanza di qualche settimana. Qualche mese fa è arrivata la notizia del coming out di un giovane calciatore svedese, Anton Hysen, il primo giocatore ad essersi dichiarato gay nel suo Paese; prima di lui ricordiamo Justin Fashanu in Inghilterra nel ’90, morto suicida otto anni dopo. Sempre nel calcio, il primo campione a dichiarare la propria omosessualità fu Wilson Oliver, nel 1986, vittima di discriminazioni omofobe che lo costrinsero ad abbandonare rapidamente la carriera.
Allargando lo sguardo su altre discipline sportive, il campione di cricket Steven Davies ha dichiarato due mesi fa di essere gay, seguendo l’esempio del rugbysta Gareth nel 2009. Come riporta il sito psicologia gay Fino ad oggi, in Italia si contano pochi calciatori o allenatori dichiaratamente gay, pur non mancando nel calcio una rappresentanza gay, non facilmente quantificabile. Uno dei maggiori problemi inerenti la conoscenza di questo fenomeno, infatti, riguarda la massiccia omertà diffusa nell’ambiente.
Nell’immaginario collettivo, il calcio rappresenta l’attività sportiva simbolo per eccellenza della virilità e del machismo: per questo sembrerebbe più difficile per un gay dichiarare il proprio orientamento, rischiando di diventare oggetto di discriminazione sessuale da parte della tifoseria e della stampa. Soprattutto, l’omofobia serpeggiante nel mondo sportivo e, in particolare, in quello calcistico, è mantenuta dagli interessi economici delle società sponsor, intenzionate a proteggere l’immagine di cui i calciatori sono testimonial, coprendo gli scandali attraverso ricche ricompense o sbarazzandosi di quanti espongano apertamente le proprie preferenze sessuali. Diversi contratti calcistici, inoltre, proibirebbero esplicitamente ai calciatori di dichiarare il proprio orientamento sessuale. In ogni modo, sembrerebbe che il tabù dell’omosessualità colpisca maggiormente il calcio maschile, piuttosto che quello femminile.
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Pochi giorni fa l’NBA ha visto cadere uno dei grandi tabù dello sport professionistico americano. Per la prima volta uno degli esponenti più importanti della pallacanestro a stelle e strisce, il manager Rick Welts, ha dichiarato la propria omosessualità. Il mondo dello sport maschile appare però ancora chiuso all’amore verso persone dello stesso sesso. Qualche barriera è già caduta, ma la strada è ancora lunga.
WELTS, UNA VITA NASCOSTA – Rick Welts, presidente dei Phoenix Suns, una delle squadre più celebri della NBA, ha confessato al New York Times la propria omosessualità. Welts è il primo rappresentante della lega professionista americana a fare coming out, dopo una vita trascorsa all’interno di un mondo notoriamente poco simpatetico con i gay. Welts è stato in passato uno dei principali responsabili dei Seattle Supersonics, per poi passare alla stessa NBA, nella cui organizzazione ha ricoperto incarichi di crescente responsabilità. Uno dei creatori dell’immagine del mitico Dream Team, la nazionale olimpica che a Barcellona 1992 schierò le leggende del basket americano, Welts è poi passato a dirigere i Phoenix Suns.
Prima di fare coming out Welts ha chiesto consiglio ad alcuni amici, tra cui David Stern, commissario della NBA, la massima autorità del campionato, e l’ex cestista Bill Russell, una delle leggende di questo sport. Entrambi hanno offerto il proprio aiuto e sostegno a Welts. Welts è una personalità nel mondo della pallacanestro USA: nel corso di venti anni è stato uno dei dirigenti più importanti della NBA e nel 1984 fu il promotore del famoso NBA All Star Weekend. Il fatto di condurre una doppia vita lo ha portato a dover pagare un alto prezzo dal punto di vista emotivo, come nel 1994 quando morì il suo compagno per complicazioni dovute all’HIV e non poté dire nulla a nessuno e la stessa consegna del silenzio ha dovuto vivere un paio di anni fa quando il suo compagno, dopo quattordici anni di vita insieme, lo ha lasciato. Ma non è mai tardi per vivere nella sincerità e ora Rick Welts si è sentito pronto: ha affermato di aver deciso di dichiarare la propria omosessualità sia perché vuole vivere apertamente la sua vita, sia perché vuole aiutare a combattere l’omofobia che c’è nello sport.
Un coming out che ha attirato molta attenzione, anche perché pochi giorni dopo una delle nuove stelle della NBA, Yoakim Noah, ha insultato uno spettatore con un termine omofobo. Poche settimane prima lo stesso era stato fatto da Kobe Bryant, probabilmente il giocatore di basket più celebre a livello mondiale. Il machismo e l’omofobia sembrano ancora dominare il mondo della NBA, ma la scelta di Welts può essere uno dei primi passi verso un diverso futuro.
MESE DELLO SPORT GAY – Il sito americano Ousports da tempo ospita i coming out dei tanti sportivi costretti a vivere nell’ombra la propria sessualità. Le dichiarazioni di Welts hanno fatto scrivere ad Outsports che gli ultimi 30 giorni abbiano rappresentato il mese più gay della storia dello sport americano.
Prima ci sono stati gli insulti di Kobe Bryant, poi il giocatore di hockey su ghiaccio Sean Avery ha dichiarato il suo appoggio ai matrimoni gay. Peter Vidmar, ginnasta olimpionico, ha perso il suo posto nel comitato di Londra 2012 per il suo attivismo anti omosessuali durante il referendum californiano di tre anni fa. Un atleta del college ha chiesto scusa per i suoi tweets contro la comunità LGBT, mentre Will Sheridan ha dichiarato che viveva apertamente la sua omosessualità con i suoi compagni di squadra quando giocava a basket. Il risultato di questi fatti è stato un ampio dibattito sulla presenza dei gay nello sport sulla carta stampata, radio, televisione e internet, che serve per tenere vivo questo tema. Non mi sono esaltato per il coming out di Welts, perché conoscevo da molto tempo la sua omosessualità, e sentivo che se si fosse dichiarato molto tempo fa non ci sarebbero state conseguenze negative. Ma la sua storia è servita per i media perché lui è il primo nome di un certo livello, e quindi è probabile che l’informazione cercherà altre vicende come la sua. Significa che ci sarà finalmente un atleta omosessuale di uno dei più grandi sport che si dichiarerà pubblicamente? Non necessariamente. Il coming out è una decisione personale che dipende più da dinamiche individuali e dalla situazione personale che dalla cultura più ampia della società. Comunque, l’idea si fa sempre più concreta, come dimostrano gli eventi dello scorso mese. E’ solo una questione di quando, non se.
ATLETI PER IL MATRIMONIO GAY – Al momento non c’è ancora un atleta dei quattro grandi sport a stelle e strisce, football, baseball, basket e hockey, che si è dichiarato gay mentre è in attività. Negli scorsi mesi c’è stato però un numero crescente di sportivi che ha fatto aperta campagna per una delle cause più importanti della comunità LGBT, il riconoscimento della loro uguaglianza in materia di matrimonio. Poco tempo fa il mondo dell’hockey è stato scosso dal supporto di Sean Avery per il matrimonio omosessuale da introdurre nello Stato di New York.
L’attaccante dei Rangers ha realizzato uno spot che è stato subito attaccato da altri suoi colleghi, come la coppia padre figlio Don e Todd Reynolds. I Reynolds hanno preso una durissima posizione contro Avery, rimproverandogli di appoggiare una proposta che è “comunque e sempre sbagliata”, visto che “l’uomo e la donna sono stati creati per sposarsi, non l’uomo con un altro uomo oppure con un cavallo”. Il mondo dello sport può apparire come l’ultimo bastione dell’omofobia, ma come nota Espn, è sorprendente notare quanti siano gli atleti professionisti che hanno preso già posizione a favore dei diritti della comunità LGBT. Grant Hill e Jared Dudley, due giocatori dei Phoenix Suns, hanno girato spot contro il bullismo nei confronti dei giovani gay, mentre il loro capitano Steve Nash ha partecipato alla campagna di Human Rigths Campaign a favore del matrimonio gay a New York. Nel football Scott Fujita e Brendon Ayanbadejo si sono attivati per la causa della parità per la comunità LGBT, mentre nel mondo dell’hockey l’impegno di Avery era stato preceduto da Brian Burke e suo figlio Patrick, rispettivamente direttore sportivo e talent scout della NHL. Il caso di Avery è particolarmente significativo proprio per il profilo del giocatore. Violento, rissoso, odiato dai tifosi per il suo gioco scorretto, definito da Hockey News come un genio del male e noto pure per essere un discreto donnaiolo.
CALCIO, ULTIMO TABU’ – Il pallone uno dei mondi più restii ad accettare l’omosessualità, tanto che Marcello Lippi e Luciano Moggi hanno negato perfino la possibilità che ci potessero essere calciatori omosessuali.
In Germania Mario Gomez ha chiesto ai suoi colleghi omosessuali di farsi avanti, ma nessuno l’ha ascoltato, e il suo compagno di squadra Lahm ha consigliato l’esatto contrario a distanza di qualche settimana. Qualche mese fa è arrivata la notizia del coming out di un giovane calciatore svedese, Anton Hysen, il primo giocatore ad essersi dichiarato gay nel suo Paese; prima di lui ricordiamo Justin Fashanu in Inghilterra nel ’90, morto suicida otto anni dopo. Sempre nel calcio, il primo campione a dichiarare la propria omosessualità fu Wilson Oliver, nel 1986, vittima di discriminazioni omofobe che lo costrinsero ad abbandonare rapidamente la carriera.
Allargando lo sguardo su altre discipline sportive, il campione di cricket Steven Davies ha dichiarato due mesi fa di essere gay, seguendo l’esempio del rugbysta Gareth nel 2009. Come riporta il sito psicologia gay Fino ad oggi, in Italia si contano pochi calciatori o allenatori dichiaratamente gay, pur non mancando nel calcio una rappresentanza gay, non facilmente quantificabile. Uno dei maggiori problemi inerenti la conoscenza di questo fenomeno, infatti, riguarda la massiccia omertà diffusa nell’ambiente.
Nell’immaginario collettivo, il calcio rappresenta l’attività sportiva simbolo per eccellenza della virilità e del machismo: per questo sembrerebbe più difficile per un gay dichiarare il proprio orientamento, rischiando di diventare oggetto di discriminazione sessuale da parte della tifoseria e della stampa. Soprattutto, l’omofobia serpeggiante nel mondo sportivo e, in particolare, in quello calcistico, è mantenuta dagli interessi economici delle società sponsor, intenzionate a proteggere l’immagine di cui i calciatori sono testimonial, coprendo gli scandali attraverso ricche ricompense o sbarazzandosi di quanti espongano apertamente le proprie preferenze sessuali. Diversi contratti calcistici, inoltre, proibirebbero esplicitamente ai calciatori di dichiarare il proprio orientamento sessuale. In ogni modo, sembrerebbe che il tabù dell’omosessualità colpisca maggiormente il calcio maschile, piuttosto che quello femminile.
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