Soppressori di Hiv
Soppressori di Hiv
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28 marzo
Soppressori di Hiv
Sebbene l’infezione da HIV non trattata alla fine porti a una immunodeficienza acquisita (AIDS), un piccolo gruppo di persone sieropositive, chiamate élite soppressori (lo 0,5 per cento di tutti gli individui affetti da HIV), sono in grado di controllare naturalmente l’infezione in assenza di una terapia antiretrovirale, o HAART. Questa capacità potrebbe essere la chiave per la messa a punto di un vaccino efficace. La conferma dell’esistenza di individui immuni all’AIDS risale al 2008, quando virologi della Johns Hopkins dimostrarono che questa capacità deriva effettivamente dall’insolita resistenza del loro sistema immunitario, e non da eventuali difetti nel ceppo di HIV che li aveva infettati. La prova definitiva venne dallo studio di una coppia di afroamericani di Baltimora, in cui la moglie era stata infettata dal marito tossicodipendente attraverso rapporti sessuali.
Le analisi genetiche dimostrarono che i coniugi erano infettati dallo stesso ceppo di virus. A differenza del marito, però, costretto ad assumere potenti cocktail di farmaci, la moglie è rimasta asintomatica nel corso degli anni: presenta una conta virale costantemente al di sotto delle 50 copie per millilitro cubico di sangue e non ha richiesto alcun trattamento farmacologico per tenere sotto controllo l’infezione.
Gli élite soppressori del virus sono clinicamente quasi indistinguibili dai nuovi casi della malattia, con cui condividono basse concentrazioni nel sangue di anticorpi anti-HIV. Rare variazioni genetiche rendono il loro sistema immunitario così forte da produrre concentrazioni più basse di anticorpi anti-HIV quando il virus viene eliminato, come se fossero sottoposti a terapia antiretrovirale. In particolare, i loro linfociti T killer, il sottogruppo di globuli bianchi che uccidono le cellule infettate dal virus, sono più efficaci.
Inoltre, come hanno scoperto ricercatori della School of Medicine dell’Università della Pennsylvania in uno studio pubblicato su PLoS Pathogens, i livelli di HIV integrato in cellule del sistema immunitario sono molto più bassi negli élite soppressori rispetto alle persone affette da HIV trattate con HAART. L’integrazione è un passaggio decisivo nel ciclo vitale dell’HIV: gli consente di inserire il proprio genoma a RNA, convertito in DNA, nei cromosomi dei linfociti T helper. Questi globuli bianchi diventano metabolicamente meno attivi, mostrano resistenza alle terapie antiretrovirali e persistono nell’ospite, formando un pericoloso serbatoio latente.
Il prossimo passo sarà capire perché il serbatoio di HIV è inferiore negli élite soppressori rispetto ai sieropositivi trattati con HAART. Per cominciare, sostengono i ricercatori, sarebbe interessante vedere se il livello di integrazione continuerebbe ad essere così basso trattando gli élite soppressori con HAART. La speranza è che nuove vaccinazioni terapeutiche, finalizzate a generare linfociti T killer simili a quelli degli élite soppressori, possano risultare efficaci contro i serbatoi resistenti ai trattamenti.
Fonte: oggiscienza
28 marzo
Soppressori di Hiv
Sebbene l’infezione da HIV non trattata alla fine porti a una immunodeficienza acquisita (AIDS), un piccolo gruppo di persone sieropositive, chiamate élite soppressori (lo 0,5 per cento di tutti gli individui affetti da HIV), sono in grado di controllare naturalmente l’infezione in assenza di una terapia antiretrovirale, o HAART. Questa capacità potrebbe essere la chiave per la messa a punto di un vaccino efficace. La conferma dell’esistenza di individui immuni all’AIDS risale al 2008, quando virologi della Johns Hopkins dimostrarono che questa capacità deriva effettivamente dall’insolita resistenza del loro sistema immunitario, e non da eventuali difetti nel ceppo di HIV che li aveva infettati. La prova definitiva venne dallo studio di una coppia di afroamericani di Baltimora, in cui la moglie era stata infettata dal marito tossicodipendente attraverso rapporti sessuali.
Le analisi genetiche dimostrarono che i coniugi erano infettati dallo stesso ceppo di virus. A differenza del marito, però, costretto ad assumere potenti cocktail di farmaci, la moglie è rimasta asintomatica nel corso degli anni: presenta una conta virale costantemente al di sotto delle 50 copie per millilitro cubico di sangue e non ha richiesto alcun trattamento farmacologico per tenere sotto controllo l’infezione.
Gli élite soppressori del virus sono clinicamente quasi indistinguibili dai nuovi casi della malattia, con cui condividono basse concentrazioni nel sangue di anticorpi anti-HIV. Rare variazioni genetiche rendono il loro sistema immunitario così forte da produrre concentrazioni più basse di anticorpi anti-HIV quando il virus viene eliminato, come se fossero sottoposti a terapia antiretrovirale. In particolare, i loro linfociti T killer, il sottogruppo di globuli bianchi che uccidono le cellule infettate dal virus, sono più efficaci.
Inoltre, come hanno scoperto ricercatori della School of Medicine dell’Università della Pennsylvania in uno studio pubblicato su PLoS Pathogens, i livelli di HIV integrato in cellule del sistema immunitario sono molto più bassi negli élite soppressori rispetto alle persone affette da HIV trattate con HAART. L’integrazione è un passaggio decisivo nel ciclo vitale dell’HIV: gli consente di inserire il proprio genoma a RNA, convertito in DNA, nei cromosomi dei linfociti T helper. Questi globuli bianchi diventano metabolicamente meno attivi, mostrano resistenza alle terapie antiretrovirali e persistono nell’ospite, formando un pericoloso serbatoio latente.
Il prossimo passo sarà capire perché il serbatoio di HIV è inferiore negli élite soppressori rispetto ai sieropositivi trattati con HAART. Per cominciare, sostengono i ricercatori, sarebbe interessante vedere se il livello di integrazione continuerebbe ad essere così basso trattando gli élite soppressori con HAART. La speranza è che nuove vaccinazioni terapeutiche, finalizzate a generare linfociti T killer simili a quelli degli élite soppressori, possano risultare efficaci contro i serbatoi resistenti ai trattamenti.
Fonte: oggiscienza
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