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La marcia silenziosa dell'immunologia

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La marcia silenziosa dell'immunologia Empty La marcia silenziosa dell'immunologia

Messaggio Da Gex Dom 2 Ott - 13:21

Vi racconto la marcia silenziosa (e in corso) dell'immunologia

Lo scienziato Alberto Mantovani ci spiega come un ramo della medicina poco noto abbia inciso sulle nostre vite

Intervista col professor Alberto Mantovani



MILANO - Un mondo popolato di strani personaggi, quasi disneyani. Sentinelle e soldati, vigili del traffico e poliziotti buoni o corrotti, musicisti e postini, mangiatori e supermangiatori. C'è persino un personaggio, l'Interferon, il cui nome deriva dai fumetti di Flash Gordon. La fantasia delle metafore si spreca nell'universo complesso che Alberto Mantovani, uno degli immunologi più prestigiosi al mondo, ha voluto raccontare in un libro per tutti, "I guardiani della vita". Nella prefazione, citando Karl Popper, ricorda che "ogni scienziato ha contratto un debito nei confronti dei propri simili: presentare il frutto dei suoi studi nella forma più chiara, più semplice e più modesta possibile". Non possiamo che condividere.

Ma non c'è il rischio che la complessità della materia sia ormai tale non poter essere più compresa, comunicata, al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori?

«Non solo, ma c'è una reale difficoltà a comunicare anche all'interno della stessa comunità scientifica. Una volta era semplice: c'erano macrofagi e microfagi, poi chiamati neutrofili. Oggi sappiamo che nell'uomo ci sono 46 geni diversi che sovrintendono alla produzione di proteine del sistema immunitario e ciascuno ne produce un numero x. Io ho partecipato alla definizione della nomenclatura di questi "oggetti" e sono uno dei 3 o 4 al mondo che conosce i “nomi” e così mi chiamano per chiarimenti. Ma non è vero che li so, mica me li ricordo a memoria…».

Difficile allora spiegarsi ai medici, e tanto meno ai pazienti…

«Ma la pratica poi aiuta, semplifica, perché nel frattempo da queste ricerche nascono dei farmaci. Prendiamo ad esempio le due più importanti novità che vengono dall'immunologia. Uno è un farmaco per il melanoma, che tecnicamente è un anti-CTL antigen 4. Non è tanto facile far capire che cosa vuol dire questa sigla. Ma forse basta sapere che questo farmaco va ad aggredire una cellula tumorale non direttamente, ma bloccando altre cellule negative, quelle che chiamo nel libro i "poliziotti corrotti", che impediscono al sistema immunitario di intervenire. Nel suo campo è il primo farmaco approvato che cambia la sopravvivenza in modo deciso. Purtroppo funziona in pochi specifici pazienti, ma in quelli funziona bene. C'è poi un nuovo farmaco per il lupus, dopo 30 anni finalmente qualcosa che migliora la terapia, che interagisce con uno dei cosiddetti fattori di necrosi tumorale (TNF), che è una citochina il cui nome non c'entra niente ormai con le sue funzioni. Per questo preferisco parlare di "poliziotti" o chiamare le citochine "parole molecolari", perché servono a comunicare all'interno del sistema immunitario».

A parte il caso dei vaccini, che sono "popolari", e il cui meccanismo è relativamente facile da comprendere, forse sfuggono, per la complessità della materia, gli altri successi dell'immunologia. Anche perché ci sono state grandi promesse, come gli anticorpi molecolari, le interleuchine e altre possibili panacee, che poi sono sembrate deludenti.

«In realtà è avvenuta una rivoluzione silenziosa che è rimasta in qualche modo sotto traccia. Usare gli anticorpi per curare è un sogno che risale alla fine dell'800 e gli anticorpi monoclonali sembravano poter realizzare questo sogno. Poi ci sono state molte frustrazioni. Ma oggi la diagnostica non potrebbe farne a meno: esami come il Psa per la prostata, la proteina C reattiva, la diagnostica dell'Hiv, la tipizzazioni dei tumori utilizzano tutti anticorpi monoclonali. E alla fine degli anni '90 viene introdotto un anticorpo per la cura del linfoma a cellule B che apre la strada. Oggi vengono usati per il tumore alla mammella, per il cancro al colon, per le malattie infiammatorie dell’intestino.
«L'altro grande sogno era utilizzare gli anticorpi per trasportare farmaci in modo mirato: sembrava la soluzione di tutti mali. L'idea risale al 1964, poi ci sono stati 47 anni di frustrazioni. All'inizio di quest'anno l'Fda ha approvato il primo farmaco coniugato (farmaco trasportato da anticorpo) per un tipo di linfoma. E ce n'è una valanga in sperimentazione clinica. Lo stesso discorso vale per le interleuchine, come l'Interferon. Non sono la panacea, ma oggi hanno un uso codificato in alcuni tipi di tumori e sono fondamentali nella cura dell'epatite».

Lo sviluppo è vorticoso ma la medicina continua a richiedere tempi lenti..

«È proprio così. Non ci sono panacee e la strada è lunga per arrivare ai letti dei malati e nei laboratori. Ma ci si arriva, spesso per strade tortuose non previste all'inizio. Peraltro la scienza è fatta di dubbi, di incertezze, soprattutto quando è così complessa. Pensi che nella serie delle interleuchine ce n'è una, la 14, che viene chiamata "fantasma". Per il semplice motivo che non esiste. Ma quando lo si è scoperto era troppo complicato cambiare tutta la numerazione…».

Nel frattempo l'immunologia deve affrontare anche il rischio di nuove epidemie. E qui serve velocità.


«È un fatto che dobbiamo sempre più confrontarci con nuovi patogeni, perché aumenta la mobilità della popolazione e con lo sviluppo aumentano i contatti con specie diverse di animali. È certo preoccupante ma sono ottimista, purché sappiamo prepararci adeguatamente, ci sia collaborazione internazionale e trasparenza per scoprire rapidamente chi è il nemico e da dove viene. Il caso dell’epidemia di una variante di Escherichia Coli, quest’estate è significativo: sono bastati due mesi per capire e bloccare l’epidemia. Un tempo un ricercatore doveva dedicarci la vita. Un domani, speriamo, che si possa fare in due giorni».

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