Psicologia e sieropositività
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Psicologia e sieropositività
Questa è una mia sintesi fatta sulla base di letture che hanno messo in luce gli aspetti psicologici della sieropositività, dal momento della comunicazione della diagnosi alla fase del ri-adattamento e della ri-progettualità della propria vita.
Mi farebbe piacere se anche voi arricchiste questo post con le vostre conoscenze, al fine di fornire una panoramica a chi, suo malgrado, si affaccia per la prima volta a questa realtà e non sa cosa aspettarsi e come orientarsi.
Contrarre il virus dell’HIV rappresenta una grave minaccia al proprio progetto esistenziale, all’immagine di sé, al proprio ruolo sociale e familiare, con conseguenze psicologiche che si riversano anche nei rapporti con il partner, i figli, i genitori e gli amici. L’HIV, soprattutto nelle prime fasi successive alla sua scoperta, pone alla persona l’angoscia di una malattia irreversibile e della morte. Spesso l’infezione viene vissuta in termini di colpa per aver contratto il virus e di pericolosità per il fatto di poterla trasmettere ad altri.
La reazione all’HIV da parte del sieropositivo dipende dal suo carattere, dalle personali conoscenze relative a questa malattia, dal suo attuale stato di salute, dalla situazione affettiva ed emotiva, dal significato che egli attribuisce alla sua vita.
Sicuramente uno dei momenti più drammatici riguarda la comunicazione della diagnosi di sieropositività. Dal punto di vista psicologico la persona si ammala proprio nel momento in cui gli viene data la notizia. Inoltre, a differenza di molte altre malattie, il sieropositivo non può nemmeno concedersi uno dei meccanismi di difesa maggiormente riscontrati in queste circostanze, ossia la “negazione” (“sicuramente i medici si sono sbagliati”); il sieropositivo è, infatti, spinto a prendere subito atto della sua malattia per evitare di trasmetterla ad altri. Insomma, non può negarsela!
Da questo momento si fanno strada forti sentimenti di colpa per essere stati tanto “stupidi” e di rabbia per chi gli ha trasmesso l’infezione. Improvvisamente crolla ogni certezza, si fanno strada fantasie di morte imminente (soprattutto se si è poco informati), la progettualità della propria vita si interrompe e può crearsi un baratro tra le due vite, quella precedente al contagio e quella che seguirà.
Il sieropositivo si chiede ripetutamente se potrà essere ancora accettato e amato dagli altri. Il dubbio e la paura di essere rifiutati in un momento in cui il bisogno di vicinanza con gli altri è particolarmente forte, può far si che la persona si isoli e vivi in clandestinità la sua condizione. “Cosa potranno pensare gli altri di me? Che sono un tossicodipendente? Un gay? Una persona che ha una vita sessuale promiscua?” Ecco che il sieropositivo anziché viversi vittima di questa infezione, sente su di sé tutto il peso del giudizio morale degli altri e la condanna per il proprio stile di vita.
La famiglia vive, a sua volta, un periodo di grande paura e turbamento quando viene informata dell’infezione: alla preoccupazione per la salute del familiare, affetto da una malattia contagiosa, si aggiunge il timore per il rifiuto dell’ambiente esterno e così può accadere che anche la famiglia mantenga il segreto.
La presenza dell’infezione viene quasi sempre comunicata al partner. Così, nella coppia, entra prepotentemente il virus che scompagina l’equilibrio esistente: il corpo del partner infetto, da oggetto d’amore può diventare oggetto da temere e la paura del contagio fa sentire il desiderio verso l’altro come troppo pericoloso. Questo però non significa che le relazioni di coppia finiscano irrimediabilmente, anzi è documentato che la relazione può uscirne rafforzata dal dover affrontare insieme i momenti difficili che l’infezione inevitabilmente comporta. E’ però necessario, per raggiungere questo nuovo equilibrio, che la relazione abbia alle spalle una forte stabilità affettiva.
Per il sieropositivo spesso il proprio corpo sembra invaso e pervaso dal virus HIV e non sembra esserci spazio per altre forme di malattia.Ogni disturbo, anche il più banale, può essere interpretato come un segnale della presenza dell’infezione; questo atteggiamento ipocondriaco nei confronti dell’HIV può ostacolare l’assunzione di un comportamento attivo e mirato nella promozione e mantenimento della propria salute.
Dopo questa prima fase di shock si assiste ad una sorta di “rinascita” in cui il sieropositivo si adatta alla nuova realtà e raggiunge un certo equilibrio, soprattutto se riceve un valido supporto affettivo e sociale.
Pur trovandosi in una situazione ambigua, in quanto attende con ansia i primi sintomi dell’infezione conclamata, spesso il sieropositivo ritrova un certo piacere di vivere, riprende le relazioni sociali, ritorna a progettare la sua vita e l’angoscia, così intensa nella fase precedente, si attenua.
Il supporto affettivo dei familiari e degli amici con i quali si è condiviso la propria condizione di sieropositivo, aiuta a non permettere alla paura di annullare tutto, a ricostruire la propria progettualità di vita, a ricredere in sé; condividere l’incertezza e la paura per la propria sieropositività serve a ricostruire la propria integrità psicologica.
L’accettazione e l’adattamento ai limiti che l’HIV/AIDS impone, il ritorno alla socializzazione, la riaffermazione del coraggio, la ri-progettualità della propria vita, la costruzione di relazioni non più guidate da un bisogno compensatorio ma di reale scambio portano a rileggere la propria condizione di sieropositivo sotto una nuova luce e a ritrovare i valori, gli obiettivi, le aspirazioni fondamentali della propria vita.
Insomma, la paura e l'angoscia per la propria sieropositività, e tutto ciò ke essa comporta sul piano fisico, psicologico e sociale, può essere superata alla grande! ...a noi la scelta!
Mi farebbe piacere se anche voi arricchiste questo post con le vostre conoscenze, al fine di fornire una panoramica a chi, suo malgrado, si affaccia per la prima volta a questa realtà e non sa cosa aspettarsi e come orientarsi.
Contrarre il virus dell’HIV rappresenta una grave minaccia al proprio progetto esistenziale, all’immagine di sé, al proprio ruolo sociale e familiare, con conseguenze psicologiche che si riversano anche nei rapporti con il partner, i figli, i genitori e gli amici. L’HIV, soprattutto nelle prime fasi successive alla sua scoperta, pone alla persona l’angoscia di una malattia irreversibile e della morte. Spesso l’infezione viene vissuta in termini di colpa per aver contratto il virus e di pericolosità per il fatto di poterla trasmettere ad altri.
La reazione all’HIV da parte del sieropositivo dipende dal suo carattere, dalle personali conoscenze relative a questa malattia, dal suo attuale stato di salute, dalla situazione affettiva ed emotiva, dal significato che egli attribuisce alla sua vita.
Sicuramente uno dei momenti più drammatici riguarda la comunicazione della diagnosi di sieropositività. Dal punto di vista psicologico la persona si ammala proprio nel momento in cui gli viene data la notizia. Inoltre, a differenza di molte altre malattie, il sieropositivo non può nemmeno concedersi uno dei meccanismi di difesa maggiormente riscontrati in queste circostanze, ossia la “negazione” (“sicuramente i medici si sono sbagliati”); il sieropositivo è, infatti, spinto a prendere subito atto della sua malattia per evitare di trasmetterla ad altri. Insomma, non può negarsela!
Da questo momento si fanno strada forti sentimenti di colpa per essere stati tanto “stupidi” e di rabbia per chi gli ha trasmesso l’infezione. Improvvisamente crolla ogni certezza, si fanno strada fantasie di morte imminente (soprattutto se si è poco informati), la progettualità della propria vita si interrompe e può crearsi un baratro tra le due vite, quella precedente al contagio e quella che seguirà.
Il sieropositivo si chiede ripetutamente se potrà essere ancora accettato e amato dagli altri. Il dubbio e la paura di essere rifiutati in un momento in cui il bisogno di vicinanza con gli altri è particolarmente forte, può far si che la persona si isoli e vivi in clandestinità la sua condizione. “Cosa potranno pensare gli altri di me? Che sono un tossicodipendente? Un gay? Una persona che ha una vita sessuale promiscua?” Ecco che il sieropositivo anziché viversi vittima di questa infezione, sente su di sé tutto il peso del giudizio morale degli altri e la condanna per il proprio stile di vita.
La famiglia vive, a sua volta, un periodo di grande paura e turbamento quando viene informata dell’infezione: alla preoccupazione per la salute del familiare, affetto da una malattia contagiosa, si aggiunge il timore per il rifiuto dell’ambiente esterno e così può accadere che anche la famiglia mantenga il segreto.
La presenza dell’infezione viene quasi sempre comunicata al partner. Così, nella coppia, entra prepotentemente il virus che scompagina l’equilibrio esistente: il corpo del partner infetto, da oggetto d’amore può diventare oggetto da temere e la paura del contagio fa sentire il desiderio verso l’altro come troppo pericoloso. Questo però non significa che le relazioni di coppia finiscano irrimediabilmente, anzi è documentato che la relazione può uscirne rafforzata dal dover affrontare insieme i momenti difficili che l’infezione inevitabilmente comporta. E’ però necessario, per raggiungere questo nuovo equilibrio, che la relazione abbia alle spalle una forte stabilità affettiva.
Per il sieropositivo spesso il proprio corpo sembra invaso e pervaso dal virus HIV e non sembra esserci spazio per altre forme di malattia.Ogni disturbo, anche il più banale, può essere interpretato come un segnale della presenza dell’infezione; questo atteggiamento ipocondriaco nei confronti dell’HIV può ostacolare l’assunzione di un comportamento attivo e mirato nella promozione e mantenimento della propria salute.
Dopo questa prima fase di shock si assiste ad una sorta di “rinascita” in cui il sieropositivo si adatta alla nuova realtà e raggiunge un certo equilibrio, soprattutto se riceve un valido supporto affettivo e sociale.
Pur trovandosi in una situazione ambigua, in quanto attende con ansia i primi sintomi dell’infezione conclamata, spesso il sieropositivo ritrova un certo piacere di vivere, riprende le relazioni sociali, ritorna a progettare la sua vita e l’angoscia, così intensa nella fase precedente, si attenua.
Il supporto affettivo dei familiari e degli amici con i quali si è condiviso la propria condizione di sieropositivo, aiuta a non permettere alla paura di annullare tutto, a ricostruire la propria progettualità di vita, a ricredere in sé; condividere l’incertezza e la paura per la propria sieropositività serve a ricostruire la propria integrità psicologica.
L’accettazione e l’adattamento ai limiti che l’HIV/AIDS impone, il ritorno alla socializzazione, la riaffermazione del coraggio, la ri-progettualità della propria vita, la costruzione di relazioni non più guidate da un bisogno compensatorio ma di reale scambio portano a rileggere la propria condizione di sieropositivo sotto una nuova luce e a ritrovare i valori, gli obiettivi, le aspirazioni fondamentali della propria vita.
Insomma, la paura e l'angoscia per la propria sieropositività, e tutto ciò ke essa comporta sul piano fisico, psicologico e sociale, può essere superata alla grande! ...a noi la scelta!
Salmone- Messaggi : 14
Data d'iscrizione : 04.01.11
Età : 44
Località : Cagliari
Re: Psicologia e sieropositività
urca, questa è impegnativa!
risponderò appena possibile con calma, per intanto i complimenti al nostro salmone che, impavido, risale la corrente!!
risponderò appena possibile con calma, per intanto i complimenti al nostro salmone che, impavido, risale la corrente!!
gloria- Messaggi : 1291
Data d'iscrizione : 21.12.10
Età : 60
Re: Psicologia e sieropositività
gloria ha scritto:...intanto i complimenti al nostro salmone che, impavido, risale la corrente!!
...sono un terrone...poche parole ma buone! ne simu capiti ah?
Salmone- Messaggi : 14
Data d'iscrizione : 04.01.11
Età : 44
Località : Cagliari
Re: Psicologia e sieropositività
Dal punto di vista psicologico la persona si ammala proprio nel momento in cui gli viene data la notizia. Inoltre, a differenza di molte altre malattie, il sieropositivo non può nemmeno concedersi uno dei meccanismi di difesa maggiormente riscontrati in queste circostanze, ossia la “negazione” (“sicuramente i medici si sono sbagliati”); il sieropositivo è, infatti, spinto a prendere subito atto della sua malattia per evitare di trasmetterla ad altri. Insomma, non può negarsela!
Mi hanno colpito molto queste frasi..
Quanto sono vere e reali..
Complimenti per la bella riflessione..
Gex- Admin
- Messaggi : 2565
Data d'iscrizione : 20.12.10
Re: Psicologia e sieropositività
Noi ci concentriamo sull'hiv,ma psicologicamente parlando la malattia (qualunque) viene vissuta da tutti più o meno allo stesso modo,tant'è vero che sia nel vecchio manuale che nei nuovi testi per infermieri c'è un capitolo dedicato proprio a questo argomento
Nel nostro caso,in particolare,io credo che vi sia un'abissale differenza fra chi,come me,l'ha saputo negli anni '80,da tossicodipendente,e chi si ammala adesso...
Io quando l'ho saputo ero tossicodipendente ed incinta...non ricordo sconvolgimenti particolari,la paura era per il bambino che doveva nascere...ci avevano detto che sarebbe nato malato e che sarebbe morto entro i primi sei mesi di vita!...non era importante la malattia in sè:avevo già avuto l'epatite b,ed in contemporanea avevo saputo della c un paio d'anni prima dell'hiv:che vuoi che sia un virus in più o in meno? noi rischiavamo la nostra vita ad ogni "buco"!E' vero,tra i tossici è stata un'ecatombe...ma noi avevamo fatto una scelta di vita che sottintendeva la probabilità di morire comunque prima del tempo,..
Quelli che si ammalano oggi,a giudicare dai post,sono ragazzi e ragazze lontani da quel mondo,hanno una vita davanti,una vita in costruzione...per loro (per voi) sicuramente è più difficile,una stroncatura!
Cresciuti in un'epoca in cui essere belli,prestanti,perfetti è un diktat,scoprire di avere più di un semplice raffreddore è sicuramente destabilizzante,poi,con questa storia delle categorie (a cui nessuno si sente di appartenere ) si parte sempre da presupposto che :"a me non può succedere"...e quindi la mazzata è sicuramente di portata maggiore...
Lo so che c'entra poco,ma,fino a pochi anni fa,chi veniva in farmacia a prendere farmaci per il tumore (all'epoca morfina e cortisone) si vergognava molto di questa malattia:aspettavano che non ci fossero altri pazienti per presentare la ricetta,abbassavano la voce quando pronunciavano la terribile parola,si sentivano in qualche modo "colpevoli" di essersi ammalati...oggi non è più così,pochi si vergognano del cancro,eppure...in alcuni casi si può ben dire di esserselo "voluto" prendere,fumndo,bevendo,mangiando male o prendendo troppo sole..
Il senso di paura o di vergogna dipendono molto dall'ambiente in cui si vive e dalla capacità di accettare in sè stessi anche i limiti imposti dalla propria fisicità...
Nel nostro caso,in particolare,io credo che vi sia un'abissale differenza fra chi,come me,l'ha saputo negli anni '80,da tossicodipendente,e chi si ammala adesso...
Io quando l'ho saputo ero tossicodipendente ed incinta...non ricordo sconvolgimenti particolari,la paura era per il bambino che doveva nascere...ci avevano detto che sarebbe nato malato e che sarebbe morto entro i primi sei mesi di vita!...non era importante la malattia in sè:avevo già avuto l'epatite b,ed in contemporanea avevo saputo della c un paio d'anni prima dell'hiv:che vuoi che sia un virus in più o in meno? noi rischiavamo la nostra vita ad ogni "buco"!E' vero,tra i tossici è stata un'ecatombe...ma noi avevamo fatto una scelta di vita che sottintendeva la probabilità di morire comunque prima del tempo,..
Quelli che si ammalano oggi,a giudicare dai post,sono ragazzi e ragazze lontani da quel mondo,hanno una vita davanti,una vita in costruzione...per loro (per voi) sicuramente è più difficile,una stroncatura!
Cresciuti in un'epoca in cui essere belli,prestanti,perfetti è un diktat,scoprire di avere più di un semplice raffreddore è sicuramente destabilizzante,poi,con questa storia delle categorie (a cui nessuno si sente di appartenere ) si parte sempre da presupposto che :"a me non può succedere"...e quindi la mazzata è sicuramente di portata maggiore...
Lo so che c'entra poco,ma,fino a pochi anni fa,chi veniva in farmacia a prendere farmaci per il tumore (all'epoca morfina e cortisone) si vergognava molto di questa malattia:aspettavano che non ci fossero altri pazienti per presentare la ricetta,abbassavano la voce quando pronunciavano la terribile parola,si sentivano in qualche modo "colpevoli" di essersi ammalati...oggi non è più così,pochi si vergognano del cancro,eppure...in alcuni casi si può ben dire di esserselo "voluto" prendere,fumndo,bevendo,mangiando male o prendendo troppo sole..
Il senso di paura o di vergogna dipendono molto dall'ambiente in cui si vive e dalla capacità di accettare in sè stessi anche i limiti imposti dalla propria fisicità...
silvana- Messaggi : 90
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Età : 62
Località : calabria
Re: Psicologia e sieropositività
totalmente d'accordo con te Silvana e sottolineo con doppia riga rossa quanto hai scritto riguardo la percezione della malattia e al senso di colpa o inadeguatezza che l'accompagna, a come sia comune a tutti i malati di qualsiasi genere di malattia di un certo rilievo, sia clinico che dal punto di vista dell'immaginario.
Spesso, sul lavoro, sento persone parlare delle proprie malattie (le più svariate) con accenti e parole ancora più pesanti di quelle che io userei per le mie e questo anche se oggettivamente quelle persone hanno meno problemi di me. E' molto relativo quindi e non si può tracciare un quadro psicologico del malato di hiv differenziandolo, o meglio, astraendolo dal quadro generale che caratterizza la malattia. Si può lavorare sulle sfumature ma nella sostanza la malattia è vissuta come un errore, con rifiuto e paura e l'hiv non fa eccezione.
E' vero, poi, che ai s+ non piace sentir relativizzare i propri problemi e anche a me a volte capita, è vero anche che a nessun malato piace, la nostra malattia la viviamo da di dentro e l'abito di un altro malato per forza di cose ci va stretto...
Spesso, sul lavoro, sento persone parlare delle proprie malattie (le più svariate) con accenti e parole ancora più pesanti di quelle che io userei per le mie e questo anche se oggettivamente quelle persone hanno meno problemi di me. E' molto relativo quindi e non si può tracciare un quadro psicologico del malato di hiv differenziandolo, o meglio, astraendolo dal quadro generale che caratterizza la malattia. Si può lavorare sulle sfumature ma nella sostanza la malattia è vissuta come un errore, con rifiuto e paura e l'hiv non fa eccezione.
E' vero, poi, che ai s+ non piace sentir relativizzare i propri problemi e anche a me a volte capita, è vero anche che a nessun malato piace, la nostra malattia la viviamo da di dentro e l'abito di un altro malato per forza di cose ci va stretto...
gloria- Messaggi : 1291
Data d'iscrizione : 21.12.10
Età : 60
Re: Psicologia e sieropositività
ho riletto il mio post e ho trovato 200 errori di sintassi e di fretta... ...Jago, Loris... se sbaglio mi corigeretes'il vous plaît!?
Dankeschön!
Dankeschön!
gloria- Messaggi : 1291
Data d'iscrizione : 21.12.10
Età : 60
Re: Psicologia e sieropositività
cavoli se è impegnativo
è tutta la sera che cerco di elaborare una risposta ma fatico a mettere insieme i pezzi...
è tutta la sera che cerco di elaborare una risposta ma fatico a mettere insieme i pezzi...
scrabble- Messaggi : 118
Data d'iscrizione : 26.12.10
Re: Psicologia e sieropositività
Silvana ha scritto:Cresciuti in un'epoca in cui essere belli,prestanti,perfetti è un diktat,scoprire di avere più di un semplice raffreddore è sicuramente destabilizzante,
Sicuramente non sono piu gli anni 80 e neppure la prima meta dei 90, in cui la sieropositivita' era una condanna a morte, e non e' neppure paragonabile lo stato d'animo, pero' la tua riflessione e' molto profonda..
Una societa in cui bisogna essere belli e forti a tutti i costi, avere l'hiv destabilizza e non poco..
Gex- Admin
- Messaggi : 2565
Data d'iscrizione : 20.12.10
Re: Psicologia e sieropositività
ecco la parola giusta... destabilizza...
pensare a questa malattia mi destabilizza,
mi destabilizza ricordandomi che la mia vita non è perfetta come sembrerebbe se vista da fuori.
sono giovane, brillante, e perchè no, anche carina.
ma ho l'hiv.
quando ci penso mi sento un po' spiazzata...
pensare a questa malattia mi destabilizza,
mi destabilizza ricordandomi che la mia vita non è perfetta come sembrerebbe se vista da fuori.
sono giovane, brillante, e perchè no, anche carina.
ma ho l'hiv.
quando ci penso mi sento un po' spiazzata...
scrabble- Messaggi : 118
Data d'iscrizione : 26.12.10
Re: Psicologia e sieropositività
ecco, ora mi sono auto-destabilizzata pensando a queste cose, e stanotte anzichè studiare come fanno tutte le brave secchione, passerò ore ed ore a farmi viaggi mentali....
e domani mi sveglierò con due occhiaia importanti.... eh gex... questa per me è stanchezza da hiv... il solo pensarci mi stanca!!!
e domani mi sveglierò con due occhiaia importanti.... eh gex... questa per me è stanchezza da hiv... il solo pensarci mi stanca!!!
scrabble- Messaggi : 118
Data d'iscrizione : 26.12.10
Re: Psicologia e sieropositività
ristabiliamo l'ordine: nessuno è perfetto ed alcuni non sono nemmeno "giovani brillanti e carini"
come la mettiamo!?
Buonanotte
come la mettiamo!?
Buonanotte
gloria- Messaggi : 1291
Data d'iscrizione : 21.12.10
Età : 60
Re: Psicologia e sieropositività
mi permetto di segnalare:
Debutta in questi giorni 'Psicologo360' (http://www.psicologo360.it/) una piattaforma online popolata da esperti contattabili in un click, "in grado di assicurare servizi che vanno dalla consulenza clinica sul benessere mentale, alle problematiche sul lavoro, fino allo sviluppo professionale".
Silvio Giovine, ideatore dell'iniziativa: "Attraverso Psicologo360 si svolgono delle consulenze e non psicoterapia a distanza. Il servizio si basa su una piattaforma di comunicazione e condivisione sviluppata appositamente per questo specifico utilizzo, che assicura a operatori e utenti tutte le garanzie del caso. Tanto che ogni 'conversazione' tra utente e professionista puo' avvenire anche preservando l'anonimato. La piattaforma consente, infatti, di comunicare a piu' livelli: con messaggi scritti, in videoconferenza, in chat o con uno scambio di file". Il tutto senza dover scaricare e installare sul proprio computer programmi aggiuntivi, e con la massima attenzione a privacy e sicurezza dei dati. Dal momento che si tratta di consulenze mirate, "questo significa che un singolo utente - prosegue Giovine - normalmente in pochissimi contatti puo' arrivare a comprendere la propria situazione”.
"Nella maggior parte dei casi - assicura - gia' questo consente una soluzione al disagio, mentre laddove si rivelasse necessaria una vera e propria terapia, il professionista indirizzera' il soggetto verso un proseguimento piu' approfondito e una vera e propria psicoterapia in studio. Abbiamo lavorato per offrire un servizio altamente professionale per aiutare psicologi e psicoterapeuti ad erogare nel miglior modo possibile e in maniera semplice le proprie prestazioni".
Alle aziende, inoltre, 'Psicologo360' offre la possibilita' "di attivare una consulenza di lungo periodo che puo' prevedere il sostegno in vari ambiti: dalla selezione del personale alla motivazione dei team di lavoro, dalla risoluzione di problematiche relazionali al coaching. La piattaforma - conclude Giovine - e' gia' funzionante e operativa, e finora sono stati coinvolti circa venti professionisti".
Debutta in questi giorni 'Psicologo360' (http://www.psicologo360.it/) una piattaforma online popolata da esperti contattabili in un click, "in grado di assicurare servizi che vanno dalla consulenza clinica sul benessere mentale, alle problematiche sul lavoro, fino allo sviluppo professionale".
Silvio Giovine, ideatore dell'iniziativa: "Attraverso Psicologo360 si svolgono delle consulenze e non psicoterapia a distanza. Il servizio si basa su una piattaforma di comunicazione e condivisione sviluppata appositamente per questo specifico utilizzo, che assicura a operatori e utenti tutte le garanzie del caso. Tanto che ogni 'conversazione' tra utente e professionista puo' avvenire anche preservando l'anonimato. La piattaforma consente, infatti, di comunicare a piu' livelli: con messaggi scritti, in videoconferenza, in chat o con uno scambio di file". Il tutto senza dover scaricare e installare sul proprio computer programmi aggiuntivi, e con la massima attenzione a privacy e sicurezza dei dati. Dal momento che si tratta di consulenze mirate, "questo significa che un singolo utente - prosegue Giovine - normalmente in pochissimi contatti puo' arrivare a comprendere la propria situazione”.
"Nella maggior parte dei casi - assicura - gia' questo consente una soluzione al disagio, mentre laddove si rivelasse necessaria una vera e propria terapia, il professionista indirizzera' il soggetto verso un proseguimento piu' approfondito e una vera e propria psicoterapia in studio. Abbiamo lavorato per offrire un servizio altamente professionale per aiutare psicologi e psicoterapeuti ad erogare nel miglior modo possibile e in maniera semplice le proprie prestazioni".
Alle aziende, inoltre, 'Psicologo360' offre la possibilita' "di attivare una consulenza di lungo periodo che puo' prevedere il sostegno in vari ambiti: dalla selezione del personale alla motivazione dei team di lavoro, dalla risoluzione di problematiche relazionali al coaching. La piattaforma - conclude Giovine - e' gia' funzionante e operativa, e finora sono stati coinvolti circa venti professionisti".
raffamin- Messaggi : 1
Data d'iscrizione : 18.07.11
Re: Psicologia e sieropositività
bah ... io so già di non essere del tutto a posto ... non cerco conferme in quel senso
Loris- Messaggi : 279
Data d'iscrizione : 21.12.10
Re: Psicologia e sieropositività
E' strano, ma forse neanche tanto: la notizia che ero sieropositivo non ha avuto un impatto cosi' forte su di me. In quel momento, la morte della mia compagna ha avuto l'effetto di un potente anestetico ed il dolore e' stato cosi' forte che mi ha tolto l'interesse per qualsiasi cosa. Ero stordito e l'idea di poter morire anch'io non mi interessava piu' di tanto. La mia vita e' cambiata? Si' perche' adesso sono solo, non perche' sono sieropositivo. La sieropositivita', almeno per il momento, la vivo come una malattia presente soprattutto nella mente, nel fisico non ancora.Nonostante una parte della gioia di vivere se ne sia andata, continuo a fare progetti, a programmare l'immediato della mia vita, riesco ancora a sorridere, a ridere, mi arrabbio...Sono il solo a sapere della mia condizione (e voi con me)e non sento la necessita' di dirlo a nessuno. Non cerco partner, sto bene anche solo e questo non perche' sono sieropositivo, ma perche' non ne sento piu' la necessita', non mi interessa. Continuo pero' sempre a sperare in una cura, perche', nonostante tutto, nei miei progetti devo fare i conti anche con il virus. Ho sistemato tutto cio' che mi riguarda per non avere degli assilli inutili. Vivo tranquillamente o forse sarebbe meglio dire serenamente perche' non lascero' nessuno a piangere per me,quando verra' l'ora spero il piu' tardi possibile.
Un abbraccio a tutti
Raf
Un abbraccio a tutti
Raf
Rafael- Messaggi : 814
Data d'iscrizione : 21.12.10
Re: Psicologia e sieropositività
Raf ... la tua forza è che sei ancora innamorato ... ti auguro che l'amore sia sempre con te ... un abbraccio
Loris- Messaggi : 279
Data d'iscrizione : 21.12.10
Re: Psicologia e sieropositività
Grazie Raf per aver condiviso questo con noi..
Un abbraccio..
Un abbraccio..
Gex- Admin
- Messaggi : 2565
Data d'iscrizione : 20.12.10
Re: Psicologia e sieropositività
ùRafael ha scritto: Vivo tranquillamente o forse sarebbe meglio dire serenamente perche' non lascero' nessuno a piangere per me,quando verra' l'ora spero il piu' tardi possibile.
Un abbraccio a tutti
Raf
è impossibile non lasciare nessuno a piangerci, fosse anche qualcuno a cui si devono dei soldi!! A parte gli scherzi, la tua battuta mi ha un po' gelato il sangue, è molto cruda...o forse io l'ho interpretata così.
Hai avuto un'esperienza dura e so cosa significa, ho vissuto qualcosa di molto simile soltanto c'erano dei bambini piccoli quando è successo e c'è voluto molto tempo a tirarsi su. La cosa che più mi ha fatto stare male (e ancora oggi mi capita di pensarci e di non riuscire a mandarla giù) è vedere come la mancanza del papà sia stata pesante per i miei figli, nonostante abbia fatto il possibile e, a volte, anche l'impossibile, per farli crescere sereni. La vita a volte è dura ed incomprensibile, bisogna mettere tutto però sul piatto della bilancia ed io ho avuto molto dalla vita e tutto sommato ( inspiegabilmente) mi considero una persona fortunata!
gloria- Messaggi : 1291
Data d'iscrizione : 21.12.10
Età : 60
Re: Psicologia e sieropositività
Forse hai ragione Gloria, rileggendola e' sembrata un po' cruda anche a me, ma non era questa l'intenzione. In realta' quello che volevo dire era che andarsene, o anche solamente partire, spesso e' duro e difficile perche' lasci qualcuno cui vuoi bene e dal quale ti distacchi con sofferenza. A volte perche' sai che andandotene la persona a cui vuoi bene, soffrira'.
Ma se tu non hai nessuno in queste condizioni, la partenza e' piu' facile, non hai rimpianti, non hai rimorsi, non hai la preoccupazione di abbandonare qualcuno che ha bisogno di te.
Io poi ho una visione tutta mia della vita e della morte. Per me e' tutt'uno, un passare da uno stato ad un'altro come il ghiaccio che si trasforma in acqua: e' sempre stato acqua, ma in una forma diversa. Noi siamo energia e torneremo a far parte dell'energia universale.
Un abbraccio,
Raf
Ma se tu non hai nessuno in queste condizioni, la partenza e' piu' facile, non hai rimpianti, non hai rimorsi, non hai la preoccupazione di abbandonare qualcuno che ha bisogno di te.
Io poi ho una visione tutta mia della vita e della morte. Per me e' tutt'uno, un passare da uno stato ad un'altro come il ghiaccio che si trasforma in acqua: e' sempre stato acqua, ma in una forma diversa. Noi siamo energia e torneremo a far parte dell'energia universale.
Un abbraccio,
Raf
Rafael- Messaggi : 814
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Re: Psicologia e sieropositività
Rafael ha scritto:
Io poi ho una visione tutta mia della vita e della morte. Per me e' tutt'uno, un passare da uno stato ad un'altro come il ghiaccio che si trasforma in acqua: e' sempre stato acqua, ma in una forma diversa. Noi siamo energia e torneremo a far parte dell'energia universale.
Un abbraccio,
Raf
su questo siamo perfettamente in sintonia, la penso e la vivo esattamente come te, soltanto non l'avevo mai associata all'acqua e al ghiaccio anche se, riflettendoci, è una bella metafora che "rende" bene il cristallizzarsi di un'energia informe in una vita umana e poi il ridisciogliersi di essa...
Quanto a te...non si può mai sapere cosa ti riserva il futuro, la conosci quella bella canzone che fa..."la vida te da sorpresas, sorpresas te da la vida..."!??
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gloria- Messaggi : 1291
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