La garanzia della privacy
La garanzia della privacy
Mai chiamare pazienti per nome in sala attesa, arriva guida Garante privacy
Roma, 27 giu. (Adnkronos Salute) - Da chi possono essere ritirate analisi e cartelle cliniche? Nelle sale d'attesa in che modo il paziente deve essere avvisato del proprio turno? Si possono installare telecamere in ospedali e luoghi di cura? E ancora: l'elenco dei degenti di un ospedale può essere pubblicato sul web? Il medico può chiedere al suo paziente se è sieropositivo? Sono queste alcune delle domande più frequenti che vengono rivolte al Garante per la protezione dei dati personali. Per rispondere, il Garante ha realizzato un vademecum intitolato 'Dalla parte del paziente. Privacy: le domande più frequenti'. Si tratta di uno strumento - una sorta di guida - con la quale il Garante offre indicazioni affinché alle persone che entrano in contatto con il personale medico e paramedico e con le strutture sanitarie, per ricevere cure o prestazioni mediche o per svolgere pratiche amministrative, vengano garantiti la più assoluta riservatezza e il rispetto della loro dignità. L'opuscolo - disponibile online sul sito del Garante - vuole anche agevolare le attività degli operatori del settore e contribuire a migliorare la qualità dei servizi offerti a chi accede a studi medici, ospedali, farmacie e a qualunque altro luogo di analisi o cura.Numerose le regole e i paletti che tutelano i pazienti. Fin dal momento della loro attesa prima di una visita medica. "Nelle sale d'aspetto - recita una delle domande presenti nell'opuscolo - in che modo il paziente deve essere avvisato del proprio turno?". Le indicazioni cambiano a seconda che ci si trovi in una struttura sanitaria o nello studio di uno specialista o del medico di famiglia. Nel primo caso, il nome del paziente in attesa non può essere pronunciato ad alta voce, ma bisogna in caso utilizzare un codice numerico. Negli studi medici privati, in quelli specialistici o dal medico di base c'è invece libertà di chiamare la persona per nome. Ecco, nel dettaglio, altri quesiti inseriti nella guida del Garante: "Se una persona viene portata al pronto soccorso o ricoverata, chi può avere notizie? Telefonando al pronto soccorso si possono ricevere informazioni sulla presenza di una persona o in uno dei reparti, ma solo se si è un parente, un convivente, un conoscente o personale volontario. Non si possono ricevere informazioni dettagliate sulle condizioni sanitarie del paziente. Questo naturalmente nei casi che l'interessato sia comunque d'accordo". Alla domanda su chi può ritirare i risultati delle analisi o le cartelle cliniche, il Garante risponde: "I referti diagnostici, le cartelle cliniche, i risultati delle analisi e i certificati rilasciati dagli organismi sanitari possono essere consegnati in busta chiusa anche a persone diverse dai diretti interessati purché munite di delega scritta". E ancora: "Possono essere installate le telecamere in ospedali e luoghi di cura?" Per il Garante della privacy, "l'eventuale controllo di ambienti sanitari e il monitoraggio di pazienti ricoverati devono essere limitati ai casi di comprovata indispensabilità, derivante da specifiche esigenze di cura e tutela della salute degli interessati". Una parte dell'opuscolo è riservata alla pubblicazione di questi dati sensibili sul web. Ad esempio: "L'elenco dei degenti di un ospedale può essere pubblicato sul web?". La risposta è no: "E' vietata - si legge - la diffusione di dati idonei a rivelare lo stato di salute. Non possono quindi essere resi disponibili a chiunque su internet i dati anagrafici, l'indicazione delle diagnosi o i risultati delle analisi cliniche delle persone che si recano presso un ospedale". Il divieto vale naturalmente anche per la pubblicazione di informazioni o foto su Facebook o altri social network.Una domanda affronta invece il problema della tutela della privacy dei contagiati dal virus dell'Hiv: "Il medico può chiedere al suo paziente se è sieropositivo?". No, "a meno che ciò non risulti indispensabile per il tipo di intervento o terapia che si deve eseguire. In ogni caso, il dato sull'infezione da Hiv deve essere raccolto direttamente dal medico, non dal personale amministrativo e sempre con il consenso del paziente". Presente all'interno della guida anche una domanda che riguarda i certificati di malattia: "Il datore di lavoro - è la risposta del Garante - non è legittimato a raccogliere certificati di malattia dei dipendenti con l'indicazione della diagnosi. In assenza di specifiche deroghe previste da leggi o regolamenti, il lavoratore assente per malattia deve fornire un certificato contenente esclusivamente la prognosi con la sola indicazione dell'inizio e della durata dell'infermità".
Roma, 27 giu. (Adnkronos Salute) - Da chi possono essere ritirate analisi e cartelle cliniche? Nelle sale d'attesa in che modo il paziente deve essere avvisato del proprio turno? Si possono installare telecamere in ospedali e luoghi di cura? E ancora: l'elenco dei degenti di un ospedale può essere pubblicato sul web? Il medico può chiedere al suo paziente se è sieropositivo? Sono queste alcune delle domande più frequenti che vengono rivolte al Garante per la protezione dei dati personali. Per rispondere, il Garante ha realizzato un vademecum intitolato 'Dalla parte del paziente. Privacy: le domande più frequenti'. Si tratta di uno strumento - una sorta di guida - con la quale il Garante offre indicazioni affinché alle persone che entrano in contatto con il personale medico e paramedico e con le strutture sanitarie, per ricevere cure o prestazioni mediche o per svolgere pratiche amministrative, vengano garantiti la più assoluta riservatezza e il rispetto della loro dignità. L'opuscolo - disponibile online sul sito del Garante - vuole anche agevolare le attività degli operatori del settore e contribuire a migliorare la qualità dei servizi offerti a chi accede a studi medici, ospedali, farmacie e a qualunque altro luogo di analisi o cura.Numerose le regole e i paletti che tutelano i pazienti. Fin dal momento della loro attesa prima di una visita medica. "Nelle sale d'aspetto - recita una delle domande presenti nell'opuscolo - in che modo il paziente deve essere avvisato del proprio turno?". Le indicazioni cambiano a seconda che ci si trovi in una struttura sanitaria o nello studio di uno specialista o del medico di famiglia. Nel primo caso, il nome del paziente in attesa non può essere pronunciato ad alta voce, ma bisogna in caso utilizzare un codice numerico. Negli studi medici privati, in quelli specialistici o dal medico di base c'è invece libertà di chiamare la persona per nome. Ecco, nel dettaglio, altri quesiti inseriti nella guida del Garante: "Se una persona viene portata al pronto soccorso o ricoverata, chi può avere notizie? Telefonando al pronto soccorso si possono ricevere informazioni sulla presenza di una persona o in uno dei reparti, ma solo se si è un parente, un convivente, un conoscente o personale volontario. Non si possono ricevere informazioni dettagliate sulle condizioni sanitarie del paziente. Questo naturalmente nei casi che l'interessato sia comunque d'accordo". Alla domanda su chi può ritirare i risultati delle analisi o le cartelle cliniche, il Garante risponde: "I referti diagnostici, le cartelle cliniche, i risultati delle analisi e i certificati rilasciati dagli organismi sanitari possono essere consegnati in busta chiusa anche a persone diverse dai diretti interessati purché munite di delega scritta". E ancora: "Possono essere installate le telecamere in ospedali e luoghi di cura?" Per il Garante della privacy, "l'eventuale controllo di ambienti sanitari e il monitoraggio di pazienti ricoverati devono essere limitati ai casi di comprovata indispensabilità, derivante da specifiche esigenze di cura e tutela della salute degli interessati". Una parte dell'opuscolo è riservata alla pubblicazione di questi dati sensibili sul web. Ad esempio: "L'elenco dei degenti di un ospedale può essere pubblicato sul web?". La risposta è no: "E' vietata - si legge - la diffusione di dati idonei a rivelare lo stato di salute. Non possono quindi essere resi disponibili a chiunque su internet i dati anagrafici, l'indicazione delle diagnosi o i risultati delle analisi cliniche delle persone che si recano presso un ospedale". Il divieto vale naturalmente anche per la pubblicazione di informazioni o foto su Facebook o altri social network.Una domanda affronta invece il problema della tutela della privacy dei contagiati dal virus dell'Hiv: "Il medico può chiedere al suo paziente se è sieropositivo?". No, "a meno che ciò non risulti indispensabile per il tipo di intervento o terapia che si deve eseguire. In ogni caso, il dato sull'infezione da Hiv deve essere raccolto direttamente dal medico, non dal personale amministrativo e sempre con il consenso del paziente". Presente all'interno della guida anche una domanda che riguarda i certificati di malattia: "Il datore di lavoro - è la risposta del Garante - non è legittimato a raccogliere certificati di malattia dei dipendenti con l'indicazione della diagnosi. In assenza di specifiche deroghe previste da leggi o regolamenti, il lavoratore assente per malattia deve fornire un certificato contenente esclusivamente la prognosi con la sola indicazione dell'inizio e della durata dell'infermità".
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Massima privacy per la diagnosi di HIV
Massima privacy per la diagnosi HIV
Tiene banco la recente ordinanza del Garante della privacy dove si «prescrive» a tutti i sanitari «di non raccogliere l'informazione circa l'eventuale stato di sieropositività del paziente». In pratica questo dato può essere richiesto solo qualora sia ritenuto necessario in relazione all'intervento clinico da eseguire sul paziente e comunque con il suo consenso (facoltativo).
Per facoltativo si intende che la non concessione dell'informazione non deve comportare modifiche o impossibilità all'esecuzione delle prestazioni non in relazione con HIV.
Il Garante per la protezione dei dati personali è intervenuto più volte sul rispetto dei diritti dei malati di AIDS con una decisione che riafferma la necessità di garantire a queste persone la massima tutela della riservatezza e della propria dignità personale.
Lo ha stabilito il Garante privacy con un provvedimento generale in cui ha indicato i principi ai quali devono attenersi i medici nella raccolta di informazioni sulla sieropositività. Il Garante ha sentito la necessità di fornire indicazioni a tutti gli studi medici dopo aver affrontato il caso di uno studio dentistico che raccoglieva informazioni sull'Hiv mediante la distribuzione di un questionario al momento dell'accettazione dei pazienti.
L'ordinanza nasce dalla segnalazione di Matteo Schwarz, legale di Nps Italia, associazione di persone con l'Aids: «E' molto frequente che negli studi vengano utilizzati questionari dove bisogna dichiarare se si è sieropositivi. Una procedura poco ortodossa, applicata anche al di fuori della sanità. Noi pretendiamo invece che l'informazione rientri nell'ambito di uno scambio confidenziale tra medico e paziente. Siamo indignati poi dalla passività degli Ordini professionali che non sono mai intervenuti per censurare comportamenti dei loro iscritti non in linea con la deontologia». I dentisti però protestano contro il Garante della privacy, l'assurdo non ha più limiti.
L'avvocato Matteo Schwarz si riferisce a storie di persone che hanno grosse difficoltà a farsi curare una carie perché sieropositive. Sono stati denunciati casi di vero e proprio rifiuto. Per questo motivo il Garante ha ritenuto necessario ribadire che la raccolta del dato sanitario sull'Aids debba avvenire, previo consenso informato dell'interessato, comunicato allo specifico medico curante «nell'ambito di un processo di cura in relazione a specifici interventi clinici» e se è ritenuto necessario.
Il Garante aveva stabilito, in precedenza, anche il divieto per le commissioni mediche che svolgono gli accertamenti sanitari sui lavoratori, di divulgare la diagnosi di AIDS riscontrata in sede di accertamento sanitario.
L'Autorità ha in proposito applicato il principio generale contenuto nella legge sull'AIDS, e valido anche per il settore privato, secondo il quale i risultati degli accertamenti diagnostici devono essere comunicati dagli operatori sanitari esclusivamente all'interessato.
La legge sulla privacy permette infatti alle amministrazioni pubbliche di trattare i dati sensibili, quali quelli attinenti allo stato di salute, ma ha fatto salve le precedenti norme della legge in materia di AIDS, nelle quali figura anche l'obbligo per gli operatori sanitari, che nell'esercizio della loro professione vengano a conoscenza di un caso di AIDS o di un'infezione da HIV, di adottare tutte le misure occorrenti per garantire il massimo riserbo.
Proprio a tutela della massima privacy per HIV, in molti casi è previsto l'uso di codifiche in forma anonima del nome, rintracciabile attraverso appositi registri dal medico che lo cura e non da chiunque lavori nella stuttura sanitaria. In genere l'assistito HIV positivo può rivelare il proprio stato al medico specialista che lo ha preso in carico, non è obbligato a informare altri.
Infine chiunque voglia eseguire l'esame HIV a richiesta deve essere coperto da anonimato, recandosi direttamente al laboratorio diagnostico della struttura sanitaria pubblica, anche senza ricetta (accesso diretto).
Tiene banco la recente ordinanza del Garante della privacy dove si «prescrive» a tutti i sanitari «di non raccogliere l'informazione circa l'eventuale stato di sieropositività del paziente». In pratica questo dato può essere richiesto solo qualora sia ritenuto necessario in relazione all'intervento clinico da eseguire sul paziente e comunque con il suo consenso (facoltativo).
Per facoltativo si intende che la non concessione dell'informazione non deve comportare modifiche o impossibilità all'esecuzione delle prestazioni non in relazione con HIV.
Il Garante per la protezione dei dati personali è intervenuto più volte sul rispetto dei diritti dei malati di AIDS con una decisione che riafferma la necessità di garantire a queste persone la massima tutela della riservatezza e della propria dignità personale.
Lo ha stabilito il Garante privacy con un provvedimento generale in cui ha indicato i principi ai quali devono attenersi i medici nella raccolta di informazioni sulla sieropositività. Il Garante ha sentito la necessità di fornire indicazioni a tutti gli studi medici dopo aver affrontato il caso di uno studio dentistico che raccoglieva informazioni sull'Hiv mediante la distribuzione di un questionario al momento dell'accettazione dei pazienti.
L'ordinanza nasce dalla segnalazione di Matteo Schwarz, legale di Nps Italia, associazione di persone con l'Aids: «E' molto frequente che negli studi vengano utilizzati questionari dove bisogna dichiarare se si è sieropositivi. Una procedura poco ortodossa, applicata anche al di fuori della sanità. Noi pretendiamo invece che l'informazione rientri nell'ambito di uno scambio confidenziale tra medico e paziente. Siamo indignati poi dalla passività degli Ordini professionali che non sono mai intervenuti per censurare comportamenti dei loro iscritti non in linea con la deontologia». I dentisti però protestano contro il Garante della privacy, l'assurdo non ha più limiti.
L'avvocato Matteo Schwarz si riferisce a storie di persone che hanno grosse difficoltà a farsi curare una carie perché sieropositive. Sono stati denunciati casi di vero e proprio rifiuto. Per questo motivo il Garante ha ritenuto necessario ribadire che la raccolta del dato sanitario sull'Aids debba avvenire, previo consenso informato dell'interessato, comunicato allo specifico medico curante «nell'ambito di un processo di cura in relazione a specifici interventi clinici» e se è ritenuto necessario.
Il Garante aveva stabilito, in precedenza, anche il divieto per le commissioni mediche che svolgono gli accertamenti sanitari sui lavoratori, di divulgare la diagnosi di AIDS riscontrata in sede di accertamento sanitario.
L'Autorità ha in proposito applicato il principio generale contenuto nella legge sull'AIDS, e valido anche per il settore privato, secondo il quale i risultati degli accertamenti diagnostici devono essere comunicati dagli operatori sanitari esclusivamente all'interessato.
La legge sulla privacy permette infatti alle amministrazioni pubbliche di trattare i dati sensibili, quali quelli attinenti allo stato di salute, ma ha fatto salve le precedenti norme della legge in materia di AIDS, nelle quali figura anche l'obbligo per gli operatori sanitari, che nell'esercizio della loro professione vengano a conoscenza di un caso di AIDS o di un'infezione da HIV, di adottare tutte le misure occorrenti per garantire il massimo riserbo.
Proprio a tutela della massima privacy per HIV, in molti casi è previsto l'uso di codifiche in forma anonima del nome, rintracciabile attraverso appositi registri dal medico che lo cura e non da chiunque lavori nella stuttura sanitaria. In genere l'assistito HIV positivo può rivelare il proprio stato al medico specialista che lo ha preso in carico, non è obbligato a informare altri.
Infine chiunque voglia eseguire l'esame HIV a richiesta deve essere coperto da anonimato, recandosi direttamente al laboratorio diagnostico della struttura sanitaria pubblica, anche senza ricetta (accesso diretto).
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